San Biagio, vescovo e martire
cappella privata in viale dei Colli
A Rovereto si trova una cappella dedicata a S. Biagio, vescovo e martire, che, per la sua collocazione appartata e per il fatto di essere privata, molto probabilmente è conosciuta da pochi.
L'edificio fu voluto dal roveretano Pietro Bagozzi, che lavorava nell'ambito dell'attività serica ed aveva un suo laboratorio. Ottenuto un certo benessere economico, tra il 1656 e il 1660, fece costruire la chiesetta, sulla collina del Pìpel (ai piedi del monte Finonchio), con offerte raccolte da alcuni cittadini di Rovereto. La volta con gli stucchi fu completata nel 1691.1)
Un tempo in aperta campagna, dove i nobili solevano trascorrere le vacanze nelle loro ville fuori le mura cittadine, la chiesetta, oggi di proprietà della famiglia Malfer, si trova in territorio comunale, sulla strada che da Rovereto centro conduce alla circoscrizione di Noriglio.
Rovereto, S. Biagio, cappella privata, stampa settecentesca.
S. Biagio presso Roveredo
Stampa del XVIII secolo,
BCR Stampe Tirolo - 0071.
Per gentile concessione dell'Archivio storico della
Biblioteca civica di Rovereto.
copyright©Biblioteca civica di Rovereto.
All'inizio l'edificio di culto, di pianta esagonale, viene dedicato alla Madonna di Loreto, raffigurata in alto nella pala dell'altare maggiore, e ai Santi Biagio e Valentino, riportati sotto, nella suddetta pala, assieme a S. Giovanni Evangelista. La presenza di quest'ultimo è dovuta, molto probabilmente, al fatto che si trattava del santo protettore del committente della pala, il nobile Giovanni Pizzini di Thürberg. Non si conosce l'anno esatto di realizzazione del dipinto, che comunque deve essere stato fatto entro il 1686, anno di morte del committente.2)
L'attuale chiesa della Beata Maria Vergine di Loreto, nell'omonima piazzetta, non esisteva ancora, ma quando fu realizzata, alla fine del Seicento 3), la chiesa sulla collina del Pìpel venne definitivamente dedicata solo a S. Biagio. Così agli inizi del Settecento si dipinse un'altra pala, più attinente alla nuova dedicazione, che riporta la Madonna del Rosario in gloria, e sotto un S. Biagio implorante la Vergine, affiancato da S. Andrea Avellino e da S. Gaetano. Sull'altare maggiore ora è collocata la primitiva pala, mentre la seconda è esposta sulla parete nord della chiesa.4)
Alla morte di Pietro Bagozzi, nel 1670, l'edificio di culto viene ereditato dall'unica figlia, Orsola, moglie di Antonio Salvetti, mercante e tesoriere della Confraternita della Carità in S. Tommaso. Devoto a S. Gaetano da Thiene, il Salvetti fece costruire un altare laterale in legno dedicato al santo fondatore dei Chierici Regolari Teatini 5). L'altare fu probabilmente tolto nella prima metà dell'Ottocento, rimane la pala (1682), raffigurante S. Gaetano affiancato da S. Filippo Neri con la Trinità in gloria, appesa ora su una delle pareti.6) Attualmente la chiesetta è dotata di un solo altare.
Dopo la famiglia Salvetti, la chiesa passò in proprietà alle famiglie D'Aste, Panzoldi, Caproni e Spagnolli, Toffenetti, all'ordine religioso delle Dame Inglesi, alle famiglie Costa, Casagrande e Malfer. 7)
In questa cappella, sono state celebrate le messe fino al 2009, nel giorno della memoria liturgica di S. Biagio (3 febbraio).
GLI EREMITI
Un tempo, le chiese isolate, cappelle private di case nobiliari in aperta campagna, venivano affidate in custodia ad un eremita, che aveva scelto la vocazione di vivere in solitudine, pregando, coltivando la terra e i vigneti, e facendo la questua.
Ciò fu anche per la chiesa di S. Biagio, che nel 1682 accolse il suo primo eremita, un certo fra Domenico Galvagni, di 44 anni, che vestiva l'abito di San Francesco e dipendeva dal Guardiano di S. Rocco.8) Per condurre tale vita vocazionale era necessario ricevere il permesso – un patentino - dalla Curia arcivescovile di Trento. L'eremita viveva in un fabbricato attaccato alla chiesa - chiamato eremitorio - e si impegnava a coltivare i circostanti campi. Doveva prendersi cura della chiesa, della sacrestia e dei relativi oggetti sacri. Pur essendo privato, infatti, l'edificio era aperto al culto pubblico. Il proprietario della chiesa e del maso, che usava solo per la villeggiatura, si assicurava così la custodia di un luogo che rimaneva disabitato per molti mesi all'anno.9)
A S. Biagio gli eremiti si sono succeduti per un secolo: tale istituzione fu infatti soppressa da Giuseppe II d'Asburgo nel 1782. Non sempre il rapporto con i proprietari del maso era sereno, a volte si doveva ricorrere all'autorità religiosa per far ripristinare gli accordi. Tuttavia, questo tipo di vocazione – come del resto tutte le vocazioni all'interno della Chiesa – veniva abbracciata a seguito di una chiamata divina, per la propria santificazione.
Ci piace dunque segnalare una di queste vocazioni, quella di Giuseppe Antonio dalla Bartolomea, nativo di Sacco 10), che, saputo dell'avanzata età dell'eremita di S. Biagio, frà Antonio Bombarda, che aveva raggiunto gli 82 anni, «ispirato da Dio a ritirarmi dal mondo», chiede di poter essere accolto in S. Biagio come eremita aggiunto. Si impegna a svolgere attività caritativa di assistenza all'anziano eremita, che non era più autosufficiente, e a custodire la chiesa. Visse così per sette anni, fino alla morte del confratello. Lasciò poi l'eremitaggio di S. Biagio, per passare a quello della Madonna alle Grazie11), sempre a Rovereto, dove vi rimase per una decina di anni. Nel 1773, si presentò al notaio e fece testamento, poiché essendo intenzionato ad andare come pellegrino a visitare i luoghi Santi, disponeva l'eredità delle sue poche cose, qualora gli fosse accaduto di morire fuori della patria.12)
Qui abbiamo la testimonianza, limitatamente a quanto riportato dal Prosser nel suo libro, di un giovane, una persona qualsiasi - non un santo famoso elevato all'onore degli altari - che si mette a servizio per sette anni di un anziano malato, e che custodisce due cappelle per una ventina di anni, pregando e vivendo di questua, per poi lasciare le sue poche cose per avventurarsi nei luoghi Santi, con un'alta probabilità di non tornare. Infatti, in passato intraprendere pellegrinaggi non era come oggi - comodità e veloci mezzi di trasporto - significava rischiare molto, per i disagi del viaggio, per le malattie che si potevano contrarre, per gli assalti di briganti, per i conflitti, le calamità naturali e le persecuzioni di chi professava altre religioni. Chi glielo fece fare? In una società permeata dalla fede e dai valori cristiani, la vita era vissuta come un pellegrinaggio verso una meta più alta, più bella, per cui poteva valere la pena anche lasciare tutto. Quanto distanti siamo dalla comune mentalità odierna! Mentalità che identifica il fine della vita con il denaro, il potere, il successo, tutto entro gli angusti limiti della vita terrena. Ma non ci rendiamo conto che tale mentalità produce solo disprezzo dell'altro, invidia, odio, paura e alla fine guerra.
GLI AFFRESCHI DELLA VITA DI S. BIAGIO
Nei pennacchi delimitati dagli archi in cinque dei sei angoli della chiesa, a pianta esagonale, e dal cornicione della base della cupola, si trova una serie di dipinti murali che narrano le principali vicende della vita di S. Biagio.13) In origine erano dieci, ma dopo i danni subiti dall'edificio durante la grande guerra, uno di essi è andato perduto, colpito da una granata. Gli affreschi, probabilmente di fine Seicento 14), di autore ignoto, pur non avendo un grande valore artistico, sono interessanti per il fatto che, stando a quanto riferisce il Prosser, pare siano l'unico ciclo pittorico dedicato alla vita di S. Biagio in Trentino, dove pure si contano numerose cappelle intitolate al vescovo di Sebaste, in Armenia15).
Non si conosce molto della vita di San Biagio, che, secondo la tradizione, fu vescovo di Sebaste, in Armenia. E' tuttavia tra i santi più popolari, forse anche per la sua attività di taumaturgo, che praticava, come Gesù, per sanare gratuitamente i malati, tramite miracoli. Quando divenne vescovo, da "buon pastore", si prese cura non solo dei corpi, ma anche delle anime. E' particolarmente venerato per la protezione delle malattie della gola; ancor oggi in alcune chiese, nel giorno della memoria liturgica del santo (3 febbraio), viene benedetta la gola dei fedeli con due candele incrociate, chiedendo inoltre a Dio di liberare la persona, tramite l'intercessione di San Biagio, da ogni male. Non si tratta di una pratica magica, ma di una benedizione chiesta a Dio, la cui efficacia dipende dalla fede del singolo e dalla sua volontà di guarire anzitutto dal peccato, che corrode l'anima. L'invocazione a S. Biagio come protettore delle malattie della gola si rifà, secondo la tradizione, ad un miracolo che compì nei confronti di un fanciullo, che stava per morire soffocato a causa di una lisca di pesce, che gli si era conficcata in gola. Il ragazzo venne liberato con un segno di croce.
S. Biagio si era rifugiato in una grotta, vicino a Sebaste, a causa delle persecuzioni contro i cristiani, ma anche lì andavano a visitarlo per ottenere guarigioni. Si dice che curasse anche gli animali feriti. Allora il prefetto di Sebaste lo fece arrestare e mettere in carcere. Morì martire attorno al 316, sotto l'imperatore Licinio. Prima di decapitarlo, lo torturarono con una specie di pettine in ferro (strumento usato dai cardatori), nella speranza che rinnegasse la propria fede. Uno degli attributi con cui viene raffigurato S. Biagio, anche nella cappella di Rovereto, è proprio il pettine per cardare le fibre tessili.16)
Note:
1) PROSSER ITALO, La chiesa di S. Biagio a Rovereto, Edizioni Stella, Rovereto, dicembre 2001, pp. 18, 21, 37-38, 110.
2) Ivi, pp. 29-30.
3) La primitiva chiesa di Loreto fu fatta costruire dalla Confraternita dei Santi Rocco e Sebastiano nel 1688. L'attuale, la seconda, venne costruita nel 1740.
4) Ivi, pp. 64-67.
5) Ivi, pp. 25-30.
6) Ivi, pp. 30, 98.
7) Ivi, pp. 115-118.
8) La chiesa di S. Rocco, un tempo dei Frati Minori, in corso Bettini, ora è affiancata al Liceo internazionale LIA Convitto Arcivescovile, che ne ha acquisito il convento.
9) Ivi, pp. 33-37.
10) Oggi Borgo Sacco, circoscrizione di Rovereto.
11) Oggi rimane solo la cappella, vicino alla stazione ferroviaria.
12) PROSSER I., op. cit., pp. 76-81, 84.
13) Nei due pennacchi del sesto angolo, dove si trova l'altare maggiore, è dipinta l'Annunciazione, con la Vergine a sinistra e l'arcangelo Gabriele a destra, guardando l'altare.
14) Per quanto riguarda la collocazione temporale, Prosser indica la data del 1698, che si legge sotto lo stemma, in gesso, dei Salvetti, sopra l'arco della porta maggiore, come quella dell'anno, prima della quale fu eseguita l'opera. Ivi, pp. 39, 52.
15) Ivi, pp. 38-49.
16) CAMILLERI RINO, Il Grande Libro dei Santi Protettori - Qualunque mestiere facciate, qualsiasi problema abbiate, esiste il Santo a cui rivolgervi, Edizioni Piemme, Casale Monferrato (AL), 1998, pp. 29-30; NIOLA MARINO, I Santi patroni, L'identità italiana, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 107-109; CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI, Omelia del Card. Leonardo Sandri in occasione della divina liturgia in rito armeno per la solennità patronale della chiesa di S. Biagio in via Giulia, Roma 3 febbraio 2010.