Rosmini, la vita: la famiglia, zio Ambrogio
La «bell'anima» dello Zio
«Al signor Zio, a cui voglio tutto quel bene che per me si possa, mi raccomando caldamente onde mi tenga nel suo buon amore che apprezzo assaissimo», scrive il giovane Antonio Rosmini alla madre, mentre sta frequentando l'Università di teologia a Padova.1)
E ancora così annuncia la morte dello zio Ambrogio2) al pittore roveretano Domenico Udine, che si trovava a Firenze:
«Valorosissimo Signore,
sapendo quanto ella si conservò sempre affezionata al mio amatissimo zio Ambrogio, mi tengo in dovere di manifestarlene l’amara perdita che fatta n’abbiamo avanti alcuni mesi. Così la nostra città ha perduto un uomo amantissimo delle belle arti, la nostra famiglia un sostegno ed un decoro, ed io un padre. Rassegniamoci alle disposizioni di Dio e a lui raccomandiamo la sua bell’anima»3).
Antonio mette in evidenza l'intenso legame affettivo che lo lega allo zio, che fu per lui un secondo padre. Ambrogio Rosmini visse, da scapolo, prima con la famiglia d'origine e poi con quella del fratello Pietro Modesto, sposatosi in età avanzata. Il contatto con i nipoti era quotidiano e, dunque, non poteva non investire l'intera vita familiare, fatta di cultura e passione per l'arte, ma anzitutto di valori condivisi, profondi valori umani di base, corroborati dalla fede, valori che anche lo zio, assieme ai genitori, deve verosimilmente aver trasmesso a Margherita, Antonio e Giuseppe.
La passione per l'arte...
Ambrogio Rosmini nasce a Rovereto il 7 luglio 1741. E' il primogenito di Giovanni Antonio Rosmini, che aggiungerà al casato il cognome e relativo patrimonio dei Serbati, tramite fedecommesso. Giovanni Antonio passò la vita a gestire con oculatezza il patrimonio familiare, ingrandendolo notevolmente e fu l'ultimo dei Rosmini a commerciare in seta. Dunque Ambrogio, che nutriva una forte passione artistica, si trovò, poco più che ventenne, nel grande dilemma se scegliere tra la carriera artistica e la cura del notevole patrimonio familiare.
Dall'autunno 1759 all'aprile 1763, Ambrogio ebbe l'opportunità di un viaggio, molto probabilmente il periodo più esaltante della sua vita, volto ad approfondire le sue conoscenze artistiche. Dopo Innsbruck, proseguì lo studio della filosofia a Bologna; studiò diritto ad Urbino; passò poi a Roma dove frequentò l'Accademia del nudo; nella capitale fece anche pratica presso gli studi di Pompeo Batoni e Cristoforo Unterperger4). Concluse il suo viaggio con le visite a Napoli, Ercolano e Pompei.
Ambrogio Rosmini, ritratto, zio di A. Rosmini
Ambrogio Rosmini (1741-1818)
zio del Beato Antonio Rosmini.
©CasanataleRosmini
Aveva progettato di andare pure in Sicilia, ma il papà lo richiamò in patria per amministrare i beni di famiglia. Si trattò di una scelta lacerante, che lo mise in un doloroso conflitto con il padre; alla fine decise di rientrare. Fu per debolezza o per amore verso la famiglia? Prendendo globalmente in esame la sua vita, Virginia Crespi Tranquillini propende per la seconda ipotesi.
Accettò il non facile incarico di amministratore dell'ingente patrimonio familiare, compito che condivise sempre con il fratello, senza litigi, quantunque tra i due Ambrogio fosse il più dotato.
Il rientro a casa non gli impedì del tutto di coltivare la sua poliedrica passione artistica e culturale, che mise anche a servizio della città. Smise di dipingere alla morte del padre, avvenuta nel 1787: a Casa natale Rosmini si possono ammirare diverse tele a lui attribuite. La sua vita impegnata non diminuì con l'abbandono della pittura, ma proseguì in altro modo: nel frattempo si sarebbe sposato il fratello e la nascita dei nipoti avrebbe rallegrato la casa. Nel 1797 entra inoltre in Consiglio comunale.5)
Collezionò volumi, dipinti, disegni e una numerosa varietà di stampe preziose, rappresentative della produzione incisoria europea tra Cinque e Ottocento.6)
In patria è apprezzato per le sue abilità artistiche. Ad esempio, l'abate Giovambattista Grasser, residente ad Innsbruck, chiede al venticinquenne Ambrogio uno dei suoi «virtuosi disegni da porre nella raccolta di biblioteca».7)
Suoi sono alcuni progetti architettonici, di cui la città è tutt'oggi orgogliosa e che costituiscono anch'essi parte del "biglietto da visita" di Rovereto.
Nel 1771 progetta il palazzo destinato ad essere l'Annona civica, oggi sede della Biblioteca civica "G. Tartarotti". Si tratta di un edificio, che, per lo scopo per cui veniva creato, richiedeva anzitutto razionalità e funzionalità, ma essendo nell'allora, in fase di progettazione, Corso Nuovo (oggi corso Bettini), assai frequentato e ingresso nord alla città, necessitava di qualche impegno decorativo. Nell'armonia delle proporzioni e nella semplicità decorativa (non è presente nessun inutile ornamento) sta dunque la bellezza del palazzo, ancor oggi gradevole allo sguardo.
Scrive il Telani, biografo di Ambrogio Rosmini: «Il suo stile in architettura traeva molto al semplice, e benché non isprezzasse in generale gli ornamenti, e sapesse pur bene impiegarli, e adattarli dove occorrevano, ne era tuttavia per sistema parco assai, e ritenuto. [...] il bello non istava, a suo avviso, nella copia stemperata degli ornamenti, ma bensì in quella semplicità garbata, che alla qualità della fabbrica stessa bene corrisponda, e in cui tutto ciò, che è in rappresentazione, sia per di così, anche tutto in funzione. [...] Egli non fu in architettura inventor di maniera, ma fu costante nel seguire uno stile sobrio, elegante, solido, nel bene unire il liscio col parco ornato, e nel dare al tutto armonica simmetria».8)
Sempre in Corso Nuovo, il cugino Giovan Pietro conte Fedrigotti gli chiese di progettare il palazzo di famiglia, un edificio con giardino all'italiana, incastonato in un grande parco, che ricorda quello Farnese di Caprarola (Viterbo), ma che reca i segni inconfondibili di Ambrogio Rosmini: severo ma non pesante, complesso ma funzionale, elegantissimo nella sua semplicità.9)
Nel 1791 viene inaugurato l'oratorio pubblico di S. Osvaldo, commissionato ad Ambrogio Rosmini dall'amico, il nobile Osvaldo Candelpergher. L'edificio sacro - oggi di proprietà del comune - si erge sul terreno dove in precedenza si trovava l'antica cappella di S. Barbara, fatta demolire da Giuseppe II nel 1788. Anche in questo caso si ripete l'armonia delle proporzioni e l'essenzialità dell'insieme. Ambrogio Rosmini chiese inoltre a Cristoforo Unterpergher, già suo maestro, di dipingere la pala di S. Osvaldo per l'altare del nuovo oratorio.10)
Il Bello sta nella semplicità...
Antonio Rosmini
«[...] fra le cose bellissime di belle arti, ho veduto in casa Papafava un gruppo di pietra d’un sol pezzo, dove saranno aggruppate forse 60 figure d’uomo. L’opera è delle maravigliose: rappresenta la caduta degli Angeli fulminati da S. Michele. La prima cosa che mi sorprende è il concetto dell’opera, che è tale che in disegno non si può esprimere, tanto è l’ammasso e lo stravolgimento delle figure: o almeno esprimendolo in disegno, in cui si rappresenta solo una faccia, riuscirebbe una cosa sì minuta e confusa, che andrebbe perduta ogni bellezza.
Poi l’esecuzione è delle più felici in uno e difficili: ogni figura presa separatamente è sì ben fatta, che da sé sola formerebbe un bel saggio dell’arte: vi sono poi delle figure così attorniate da altre, che pare impossibile vi sia potuto entrar di mezzo lo scalpello, e pure anche di quelle il travaglio è felice.
Ho ammirato la varietà e la bellezza delle attitudini; l’espressioni dei volti, nei quali, benché tutti da varie passioni contraffatti, vi si travede però una certa bellezza nelle forme, che mostra la primiera loro eccellenza.
Io però, sebbene qui ammiri il maraviglioso insieme, tuttavia il maraviglioso non è il più bello, e mi piace più la semplicità dei greci nelle loro figure, e nei lor gruppi poco numerosi che certa confusione, disordine e ammassamento di figure, tale che piuttosto che dilettare il senso del bello, lo opprime, e lo vince. Il suo ANTONIO».
Lettera allo zio Ambrogio,
Padova, 27 Gennaio 1817.
Nel 1797 nasce Antonio, che, come abbiamo visto, considererà lo zio un secondo padre. Ambrogio gli trasmetterà la passione per l'arte, e condividerà con il nipote le sue esperienze di viaggio. Quando, nel 1823, Antonio visiterà per la prima volta Roma (lo zio era morto) sarà come se l'avesse già vista, tanto gli erano rimasti impressi nella memoria i racconti del caro congiunto:
«Pregiatissima e carissima Signora Madre,
La scarsezza delle mie lettere da Roma le potranno far conoscere quant’io sia occupato tutto il giorno a girare a vedere mille cose, che veramente inebriano l’animo. Appena m’avvanza tempo per l’ufficio divino, e per gli altri esercizii di pietà. [...] Lunedì, o martedì prossimo partiremo, secondo i conti fatti fin ora, per Firenze, dove staremo alcuni giorni. La salute ci fu costante. E non può Ella credere qual grata sensazione mi faccia ad ogni tratto il ravvisare cogli occhi miei i portenti dell’arte, che il defunto sig. Zio Ambrogio mi descriveva così al vivo quand’ei vivea! Poche cose mi si presentano nuove, che io non sappia dire che cosa sieno, e spesso farne la storia: tanto alta impressione mi faceano le parole di quell’uomo a me sì caro [...]».11)
Ambrogio Rosmini
«Vincer se stessi, sacrificar l'onor proprio, è la più grande delle vittorie».
Dalla Supplica all'imperatore Giuseppe II.
Quella Supplica a Giuseppe II...
Ambrogio Rosmini visse in anni politicamente difficili: la salita al trono (1780) di Giuseppe II d'Asburgo-Lorena,12) figlio di Maria Teresa d'Austria; la Rivoluzione francese (1789) e conseguente guerra tra Francia ed Austria; lungo l'asse del Brennero era un continuo passaggio di truppe, a fasi alterne tra gli schieramenti, che si fermavano anche a Rovereto, con relativa spogliazione di risorse; le famiglie nobili erano costrette ad ospitare nei loro palazzi gli ufficiali, e fu così anche per i Rosmini; nell'autunno del 1796 e nel gennaio 1797 in città arrivò Napoleone; nel 1805 il territorio fu ceduto al Regno di Baviera fino al 1809; seguì l'istituzione del Regno d'Italia (1810-1814) sotto la dominazione napoleonica.13)
Nella sua miope politica volta a soggiogare la Chiesa al potere imperiale, nazionalizzandola e quindi staccandola dalla guida del Papa, Giuseppe II ordinò la chiusura di ordini religiosi e conventi (soprattutto contemplativi), confraternite e chiese, di cui confiscò tutti i beni che venivano incamerati nel cosiddetto Fondo di religione, mentre le parrocchie divennero organi dello stato. I religiosi furono costretti a lasciare la loro vita di vocazione: molti di loro tornarono a casa, nelle famiglie d'origine, presso parenti o amici.14)
Le decisioni imperiali preoccuparono non poco il Pontefice, Pio VI, che nel 1782 affrontò un lungo e non facile viaggio fino a Vienna15) nel tentativo di far ragionare Giuseppe II. La missione del Papa non diede i frutti sperati. Durante il viaggio di rientro il Papa si fermò a Rovereto e soggiornò, nella notte tra il 10 e l'11 maggio, nel palazzo dei nobili Pizzini.16)
E' in tale contesto che si colloca la Supplica all'Imperatore, scritta da Ambrogio Rosmini, e conservata presso l'archivio storico di Casa natale Rosmini.17)
Nella sua Supplica,18) Ambrogio Rosmini invita Giuseppe II ad ascoltare le proposte di Pio VI, che veniva chiamato il «pellegrino apostolico», non dimenticando l'educazione cattolica e virtuosa ricevuta dalla madre. Almeno apparentemente, il sovrano si faceva sostenitore della religione cattolica nella quale era nato e cresciuto.
Nel nostro contesto ci interessano due aspetti che emergono dalla Supplica:
1. Le idee sul rapporto tra Stato e Chiesa, espresse da Ambrogio Rosmini, si basano sulla profonda convinzione della necessaria libertà per la Chiesa, che non deve essere soggetta al potere temporale. Alla Chiesa deve essere riconosciuto il diritto di portare avanti liberamente la propria missione, che non è una missione temporale ma spirituale, riguarda cioè la salvezza delle anime.
Emerge anche la consapevolezza della grandezza della figura del Pontefice:
«Il Papa - scrive Ambrogio Rosmini all'imperatore - è qualche cosa di grande, che che né dica chi nutre un ignorante disprezzo per le cose più sacre. La fede che professate v'insegna che egli è il Vicario di Cristo, il centro dell'unità cattolica, il Capo visibile della Chiesa. [...]».19)
Sono concetti che troviamo espressi negli scritti di Antonio Rosmini, tra cui uno a soli cinque anni di distanza dalla morte dello zio Ambrogio (1818), ovvero il Panegirico su Pio VII (1823). Non possiamo non pensare che Antonio non si sia imbevuto fin da piccolo di queste idee circolanti in famiglia e che senz'altro contribuirono alla sua formazione cristiana.20)
Nella Supplica Ambrogio Rosmini si rivolge ad un imperatore che, almeno in apparenza, professava di essere cattolico, ma che, con la sua politica "illuminata", mostra di fatto di non aver compreso cosa sia la Chiesa. Prende inoltre delle decisioni - come la chiusura degli ordini contemplativi - che risultano ingiuste nei confronti di sudditi, che hanno scelto liberamente il loro stato di vita religioso, seguendo la divina chiamata, e che ora si trovano, magari in tarda età, a dover abbandonare tutto. Anche solo umanamente parlando si tratta di un'ingiustizia, poiché imporre ad una persona uno stato di vita diverso da quello che ha scelto significa esercitare una grave violenza psicologica nei suoi confronti. Costringere un religioso a sciogliere i propri voti è inoltre una cosa grave, perché i voti sono promesse fatte a Dio, al quale bisogna rispondere. Giuseppe II risulta tollerante verso tutte le minoranze, eccetto i cattolici che pure costituiscono la maggioranza dei sudditi dell'impero. Infine, se lo stato vuole prelevare il denaro dalla Chiesa lo faccia in proporzione alla ricchezza dei vari ordini, «tosi la pecora non la scortichi», perché anche la Chiesa ha diritto ai suoi tributi a sostegno della diffusione del Vangelo e per aiutare i poveri. Queste in sintesi alcune delle riflessioni rivolte da Ambrogio Rosmini all'imperatore. Di seguito uno stralcio della Supplica:
«[...] Dunque se il bisogno dello stato il richiede, si esiggano da claustrali somministrazioni proporzionate alla loro opulenza. Si tosi la pecora - per servirmi della frase di Traiano - non si scortichi. Si attinga l'acqua, ma non si dissecchi la sorgente [...].
Passiamo all'esame d'altri più essenziali rapporti di Religione e di Giustizia. Le persone legate ai doveri claustrali con i voti solenni seguirono certamente i legami e dettami della loro coscienza nella scelta dello stato. [...] Se si lasciano libere le coscienze degli eretici, perché si hanno a violentar le coscienze di quelle vergini innocenti, e di quei buoni religiosi, che si sono a Dio consacrati nel chiostro?
Sono essi forse la peste dello Stato, l'obbrobrio degli uomini? Perché costringerli a ritirarsi nelle loro case, o a passare in altri conventi diversi per abito, per costume, per instituto? Il cappuccino non vorrà essere certosino, né il certosino, agostiniano. Lasciateli stare nei loro asili, ne turbate la pace religiosa e pregheranno Iddio per Voi. [...]
Chi osasse farvi supporre che lo sciogliere i voti o impedirne l'osservanza sia un puro atto di disciplina, è un ignorante o un empio. Le promesse fatte a Dio con voti solenni non sono affari da scherzo, o di pura umana providenza. Lo sforzar gli uomini, e metterli in pericolo di violarle, non è cosa indifferente alla religione. Questo è metter la mano nell'incensiere, è un profanar il santuario. [...]
Non chiedono i claustrali il loro mantenimento dal Vostro Erario, né una porzione del Vostro Imperial Palagio. Vivono con i beni lasciati da chi ne era padrone, per servire al mantenimento delle loro Case religiose, danno inoltre da vivere a tanti vostri sudditi, e si contentano che sia loro lasciato tranquillo il godimento della loro piccola cella [...]. Non disturbate non amareggiate tutta la loro vita e la vecchiaia ancora, con una violenza, che certamente non fa onore al Principato e alla umanità. [...]
Voi esigete i tributi da sudditi per la difesa dello Stato: lasciate che abbia anche i suoi tributi la Chiesa che veglia alla difesa e all'incremento della Religione per tutto l'Universo [...]».21)
Oggi come ieri:
Ad un cattolico, che vive con convinzione e maturità la propria fede, oggi come ieri, non possono non ferire gli attacchi e il disprezzo verso il Papa e la Chiesa e i vari tentativi di soggiogarla. Il vero credente sa, ieri come oggi, che il Papa è «qualcosa di grande», non è un semplice capo di stato, come anche oggi viene dai più considerato.22) E questo ovviamente per forza di cose, perché senza fede è impossibile cogliere il mistero della Chiesa.23) Ma tra i fedeli di ogni tempo la percezione del mistero rimane pressoché invariata.
Una vita coerente...
2. Il secondo aspetto che ci interessa sono le virtù morali di Ambrogio Rosmini. Che uomo era? Dai documenti emerge un uomo di vasta cultura, di competenza e serietà nel gestire l'amministrazione familiare, un uomo umile che amava il nascondimento24), attento alla famiglia e ai bisogni del prossimo, che si rivolgeva a lui per aiuto di vario genere. Trattava le persone con cordialità e non gli mancava un pizzico di sana ironia quando doveva affrontare situazioni delicate.25)
Non si sa nulla della sua vita sentimentale, ma è certo che nessun pettegolezzo lo sfiorò. Rimase scapolo e visse una vita affettiva nell'ambito della famiglia del fratello Pier Modesto. Fu molto attaccato al nipote Antonio, verso il quale nutriva un profondo sentimento di paternità spirituale. Fu anche al servizio della comunità cittadina. A tempo opportuno si concedeva qualche battuta di caccia e qualche serata al teatro. Architetto colto e di buon gusto, amava il Bello - inteso come armonia, sobrietà, proporzione - che sapeva esprimere nelle sue opere.26)
Ambrogio Rosmini era un cattolico convinto che viveva con coerenza la propria fede. L'amico pittore p. Antonio Longo, desidererebbe averlo vicino, a Varena di Fiemme, non solo per motivi artistici, ma per un aiuto «nel viver, e cristiano, e civile». Dopo la morte del parroco e di un religioso, con cui si confidava, ora p. Longo non ha altre persone con le quali «potermi aprire neppure nelle mie morali debolezze».27)
E' sorprendete se si pensa che a chiedere un "sostegno spirituale" è un religioso che si rivolge ad un laico, cosa tutt'altro che scontata in passato. Padre Longo, evidentemente, riteneva Ambrogio un cristiano maturo e coerente con cui potersi confidare.
In una lettera indirizzata al nipote, lo zio Ambrogio si sente consolato dalle informazioni ricevute da più parti delle «virtuose occupazioni» di Antonio e prega Dio per lui: «onde prendo motivo di seco voi consolarmene, con la giunta che pregherò sempre in Cielo per voi, affinché vi si mantenghino costanti».28)
Un uomo di grande fede...
La maturità di fede che si evince da un coerente stile di vita è dovuta alla preghiera. Nessun battezzato può maturare senza preghiera, perché la maturazione della persona non è opera personale, ma lavorìo dello Spirito Santo. Che Ambrogio Rosmini fosse uomo di preghiera lo si deduce dal suo coerente comportamento cristiano, da quanto scrive al nipote, e anche dalla Supplica all'imperatore Giuseppe II. Senza preghiera, infatti, come affermato sopra, non si comprende il grande mistero della Chiesa. Per Giuseppe II, quantunque affermasse di essere cattolico, i contemplativi erano persone «inutili» (convinzione molto diffusa anche al giorno d'oggi) e quindi da sopprimere.
Ambrogio sa invece quanto importanti siano i voti e la preghiera di fronte a Dio: con la preghiera si può fare tutto se si ha fede, si possono risolvere le questioni più intricate, perché ci si rivolge ad un Dio, che è, come insegna Gesù, un Padre amoroso e onnipotente. Ma questo lo sperimenta solo chi prega.
«Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe».29)
Antonio Rosmini affermava, nelle Cinque Piaghe, che «solo i grandi uomini, nutriti dal grande libro della Sacra Scrittura, possono formare altri grandi uomini»: egli fu un grande, dotato di particolari doni umani e di grazie divine, che però avrebbe potuto sprecare. Seppe usarle bene, grazie a Dio, alla preghiera e alle persone che gli erano state attorno fin dall'infanzia. Non a tutti è dato di raggiungere la fama di Antonio Rosmini, ma Dio chiede la santità a tutti. Lo zio Ambrogio, la mamma Giovanna, il papà Pier Modesto, la sorella Margherita, la cognata Adelaide, i cugini di Antonio, ma tanti tanti altri, di cui non rimane traccia, sono frutto di quell'humus, di cui era ancora pregna la società cristiana dell'epoca.
Ambrogio e Pier Modesto riuscirono ad andare d'accordo, nonostante tutta la ricchezza che possedevano, e che avrebbe potuto benissimo dividerli. In tante famiglie si vivevano le virtù cristiane: non dobbiamo pensare che i Rosmini fossero l'eccezione. Erano famiglie unite, dove non significa che non ci fossero problemi, ma dove si sapeva che la soluzione stava anzitutto nel rivolgersi a Dio con la preghiera.
L'ambiente sette-ottocentesco era ancora molto impregnato di valori cristiani, almeno nel popolo, nonostante la presenza di forze contrarie che già da qualche secolo operavano per eliminare la Chiesa, i suoi insegnamenti e i relativi valori che avevano forgiato l'Europa. Questo non significa che tutto fosse perfetto, c'è sempre posto per il miglioramento. Ma certamente la consapevolezza di cosa realmente fosse l'essere umano (creatura di Dio costituita da anima e corpo), di quale destino lo attenda dopo la morte (che non è la fine di tutto), dell'Amore divino trasmesso ad ogni persona, senza distinzione, di dover rispondere a Dio di come si è vissuti in terra, portava ad affrontare la vita come un progetto d'amore. La famiglia, i figli, le generazioni future facevano parte di questo progetto; si lasciava il testimone a qualcun altro, che proseguisse nell'opera divina, sapendo che un giorno ci si sarebbe ritrovati nuovamente insieme in un luogo di felicità eterna.
Quegli uomini grandi di cui parla il Rosmini possono essere anche "uomini grandi nascosti", le "belle anime", i "santi della porta accanto", come li chiama papa Francesco, appunto come lo "zio Ambrogio", persone rimaste nascoste nella storia, ma che sono state lievito per l'intera pasta.
I santi sono inseriti nella quotidianità...
Papa Francesco
«La santità germoglia dalla vita concreta delle comunità cristiane. I Santi non provengono da un “mondo parallelo”; sono credenti che appartengono al popolo fedele di Dio e sono inseriti nella quotidianità fatta di famiglia, studio, lavoro, vita sociale, economica e politica. In tutti questi contesti, il Santo o la Santa cammina e opera senza timori o preclusioni, adempiendo in ogni circostanza la volontà di Dio. […]
Anche oggi è importante scoprire la santità nel popolo santo di Dio: nei genitori che crescono con amore i figli, negli uomini e nelle donne che svolgono con impegno il lavoro quotidiano, nelle persone che sopportano una condizione di infermità, negli anziani che continuano a sorridere e offrire saggezza. La testimonianza di una condotta cristiana virtuosa, vissuta nell’oggi da tanti discepoli del Signore, è per tutti noi un invito a rispondere personalmente alla chiamata ad essere santi. Sono dei santi “della porta accanto”, che tutti conosciamo.
[...]
La santità, infatti, non è un programma di sforzi e di rinunce, non è fare una “ginnastica spirituale”, no, è un’altra cosa; è anzitutto l’esperienza di essere amati da Dio, di ricevere gratuitamente il suo amore, la sua misericordia».
ai partecipanti al convegno "La santità oggi"
promosso dal dicastero delle Cause dei Santi,
Roma 6 ottobre 2022,
Libreria Editrice Vaticana.
Oggi questi valori sono venuti meno, perché staccati da Dio; non si prega più, la maggioranza delle persone si sente padrona della propria vita, che ritiene finita con la morte. Si fa quello che si vuole, perché tanto non si deve rispondere a nessuno.
Gli odierni valori - ammesso che tali siano - sono incentrati sul successo, sul denaro, sull'effimero piacere delle cose terrene, senza progettualità alcuna che non sia circoscritta nell'arco della vita terrena. Di conseguenza non può essere un valore nemmeno l'umiltà, che invece, secondo l'insegnamento cristiano, è la regina delle virtù. Nonostante abbia rinunciato alla carriera artistica per il bene della famiglia, Ambrogio Rosmini, come racconta il suo biografo, non smise mai di studiare ed approfondire varie dottrine, soprattutto legate all'arte, «gli antichi e moderni scrittori, che ne avevan trattato, conosceva tutti perfettamente, e in tutti aveva egli profondamente studiato, in guisa, che la sua erudizione in quest'arte era infinita: e nol parea, poiché egli non facevane vanto: ma dove gli fosse accaduto di dovere scrivere o ragionare sull'arte, ognuno stupiva del saperne egli tanto».30)
Per fortuna non è per tutti così, anche se, purtroppo, certamente lo è per molti. Ma una tale concezione della vita porta al disfacimento della società, alla disgregazione delle famiglie, alla disperazione, alla mancanza di vera amicizia, all'odio e alla guerra.
La famiglia, che è cellula della società, sta unita solo nell'amore, che è alimentato dall'umiltà, senza umiltà non c'è amore, senza amore, c'è solo separazione, odio e distruzione.
Ciò è sotto gli occhi di tutti: basta leggere la cronaca quotidiana, ma ciascuno di noi lo sperimenta anche nelle quotidiane relazioni con il prossimo.
Non è dunque necessario per l'Europa ricuperare quelle radici, su cui fonda la parte migliore di sè stessa?
Note:
1) ROSMINI A., Epistolario completo, I, Lettera 117, Padova 10 novembre 1817, [a Giovanna Rosmini a Rovereto].
2) Ambrogio Rosmini muore il 10 agosto 1818, all'età di 77 anni, consumato dalla vecchiaia e dalla malattia che lo tormentava da tempo.
3) ROSMINI A., Epistolario Completo, I, Lettera 163, Padova 29 giugno 1819, [al pittore Domenico Udine a Fiorenza].
4) Nativo di Lucca, Pompeo Batoni (1708-1787) si trasferisce a Roma nel 1727, per compiere la propria formazione professionale. Rimane definitivamente nella capitale dove tratta i generi più diversi. Si specializza in particolare nei ritratti, per i quali raggiunge fama internazionale: ritrae personaggi di grande rilievo, tra cui l'imperatore Giuseppe II e papa Pio VI.
Nativo di Cavalese (TN), Cristoforo Unterperger (1732-1798), dopo aver studiato in varie città, nel 1758 approda a Roma, dove conosce Anton Raphael Mengs a cui si ispira. La sua fama cresce, tanto da essere chiamato da Pio VI; dipinge i soffitti di Villa Borghese a Roma; la sua opera viene richiesta anche dalla zarina Caterina II di Russia.
5) CRESPI TRANQUILLINI VIRGINIA, Ambrogio Rosmini - Ritratto d'un gentiluomo di provincia, Edizioni Osiride, Rovereto (TN), novembre 1997, pp. 11-12, 24-26, 32.
6) Antonio Rosmini-La Casa natale, (testi di Ierma Sega), ViadellaTerra Editore, Rovereto (TN) ottobre 2006, pp. 76, 85.
7) Lettera di p. Giovambattista Grasser, Innsbruck 8 dicembre 1766, in CRESPI TRANQUILLINI V., op. cit., pp. 56-57.
8) CRESPI TRANQUILLINI V., op. cit., p. 16; DE TELANI GIUSEPPE, Notizie intorno alla vita e a molte opere di Ambrogio de Rosmini Serbati roveretano, Marchesani Stamperia, Rovereto 1823, pp. 30-31, [ASBCR, Archivio storico della Biblioteca civica di Rovereto, r-MZ 32]. Il Corso Nuovo proseguiva la "via Imperiale", che all'interno della città, con ingresso da sud (attuale ponte Forbato), percorreva piazza Podestà, via della Terra, piazza San Marco, via Rialto, via Orefici; mentre stava realizzando il Palazzo del Grano, Ambrogio Rosmini stava anche disegnando la nuova via del Corso. TELANI G., op. cit., p. 32.
9) CRESPI TRANQUILLINI V., op. cit., pp. 26-27. «Singolare attenzione meritano specialmente i sotterranei per la grande solidità, con cui furono costruiti; e il cortile rotondo, sebbene per l'angustia dello spazio di una forma forse non intieramente lodabile, rammenta tuttavia assai bene anche nella sua ristrettezza quello del famoso palazzo Farnese di Caprarola». TELANI G., op. cit., p. 33.
10) Ivi, p. 27. Attualmente S. Osvaldo si trova in via S. Maria, a fianco dell'omonima piazzetta, a pochi metri dal ponte Forbato sul Leno.
La quattrocentesca chiesetta di S. Barbara era la cappella dell'antico cimitero della vicina chiesa di S. Tommaso, nell'omonimo borgo, anch'essa fatta chiudere da Giuseppe II e venduta a privati. STEFANI AUGUSTO, Documenti e memorie di S. Marco - Rovereto, Tip. C. Tomasi, Rovereto 1900, pp. 3-4, 169.
11) ROSMINI A., Epistolario completo, I, Lettera 248, Roma 22 aprile 1823, [a Giovanna Rosmini a Rovereto].
12) Giuseppe d'Asburgo-Lorena (1741-1790) fu associato al trono della madre dal 1765 al 1780, per regnare poi da solo altri dieci anni.
13) Rovereto diventa uno dei cinque distretti del Dipartimento dell'Alto Adige del nuovo Regno d'Italia.
14) Nel 1782 a Rovereto chiudono le Clarisse di S. Carlo (la chiesa viene adibita a pubblico macello), le Salesiane della Visitazione e le Terziarie Carmelitane di S. Croce. Nel 1783 è la volta delle confraternite, in pochi giorni ne vengono chiuse quindici; nel 1784 sono soppressi i Carmelitani di S. Maria, la cui chiesa diventerà quella dell'omonima nuova parrocchia (1787), tuttora esistente.
16) Palazzo Pizzini si trova in piazza Malfatti, già piazza del Grano. Sulla facciata dell'edificio è collocata una lapide che ricorda l'evento.
17) La Supplica è senza data, ma si colloca in relazione al viaggio del Pontefice a Vienna. CRESPI-TRANQUILLINI, op. cit., p. 70.
18) La Supplica a Giuseppe II non sarà pubblicata: rivolgendosi all'imperatore, Ambrogio è consapevole di non essere nessuno, di essere, come scrive, un semplice «uomo, che appena si alza alla classe mediocre dei privati», anche se «abbastanza filosofo per non lasciarsi illudere dalle false apparenze» e «abbastanza sincero per dirvi con franchezza la verità». ROSMINI AMBROGIO, [Supplica all'imperatore Giuseppe II], 1782, [ACRR = Archivio Casa Rosmini Rovereto, "Ambrogio Rosmini-Serbati", 7. 3]; vedi anche CRESPI-TRANQUILLINI, op. cit., p. 70.
19) Ivi, pp. 74-75.
20) Cfr. CRESPI-TRANQUILLINI, op. cit., p. 23.
21) ROSMINI AMBROGIO, [Supplica all'imperatore Giuseppe II], 1782, [ACRR = Archivio Casa Rosmini Rovereto, "Ambrogio Rosmini Serbati", 7. 3]; vedi anche CRESPI-TRANQUILLINI, op. cit., p. 73-74.
22) «Il Signore [Gesù Cristo] ha fatto di san Pietro [primo Papa] il fondamento visibile della sua Chiesa. A lui ne ha affidato le chiavi. Il Vescovo della Chiesa di Roma, Successore di san Pietro, è “Capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale”. Il Papa “è per divina istituzione rivestito di un potere supremo, pieno, immediato e universale per il bene delle anime”». Catechismo della Chiesa cattolica, 1997, nn. 936-937.
23) «Soltanto la fede può riconoscere che la Chiesa trae tali caratteristiche dalla sua origine divina». Catechismo della Chiesa cattolica, 1997, n. 812.
24) Scrive Tranquillini: «E mi pare inoltre assai verosimile che il desiderio di nascondimento di Antonio Rosmini, il rifuggire dalla ribalta, l'umiltà cristiana abbiano trovato nello zio Ambrogio un esempio vivo ed incisivo; forse il «non scritto» intorno alle virtù morali testimonia quanto il nipote abbia voluto rispettarne i desideri, mentre ne accoglieva l'esempio. Va insomma riconosciuta ad Ambrogio Rosmini una posizione pedagogico-culturale di prim'ordine nei confronti del nipote, posizione non adeguatamente valutata. [...]». CRESPI-TRANQUILLINI, op. cit., p. 10.
25) Alla baronessa Elena, una parente impelagata nei debiti, che non salda, nonostante le numerose sollecitazioni, così si rivolge Ambrogio: «Abbenché un'altra volta nel decorso di quest'anno dopo la morte di mio padre [Giovanni Antonio Rosmini muore nel 1787] siami ritrovato in qualche necessità di denaro, pure per non incommodare la baronessa, forse fuori tempo, ho procurato di ingegnarmi con altri mezzi, ed ho voluto differire fino al presente, per ricercarle la restituzione di quel tanto che la buon'anima del defonto mio genitore ha somministrato in diversi tempi alla baronessa a titolo di cambiale, come già le è noto; e così ancora le sei posate d'argento imprestate, che per dire il vero, essendone privi, una o l'altra volta ci è passato in pensiero di ricorrere agl'amici [...]». Rovereto 3 novembre 1788. CRESPI-TRANQUILLINI, op. cit., pp. 103-104.
27) [Lettera di p. Antonio Longo], Varena 21 aprile 1806, [ACRR, Ambrogio Rosmini-Serbati, 8.34]; vedi anche CRESPI-TRANQUILLINI, op. cit., p. 149.
28) [Lettera di Ambrogio Rosmni al nipote Antonio], Rovereto 30 marzo 1817, in CRESPI-TRANQUILLINI, op. cit., p. 175.
30) Secondo quanto il Telani scrive nell'introduzione, la sua famiglia era in amicizia da tempo con la famiglia Rosmini, da cui poté ricavare molte informazioni su Ambrogio Rosmini, anche dal nipote Antonio, a cui dedicò lo scritto. TELANI G., op. cit., p. 30.