Rovereto: cosa visitare a Rovereto
L'idea innata dell'essere
concepita nella Contrada della Terra
«Percorrendo pensoso questa via Antonio Rosmini
concepiva l'idea dell'essere base dell'alto suo sistema filosofico»,
si legge nella scritta commemorativa, dipinta su di un edificio nel piccolo slargo dell'antica Contrada della Terra e visibile in alto a sinistra, oltrepassata di pochi metri la Torre civica.
Stretto budello che conduce da piazza S. Marco a piazza Podestà, sede del Comune di Rovereto, l'attuale via della Terra, all'interno del perimetro delle antiche mura cittadine, oggi poco frequentata ma, senza dubbio, suggestivo luogo storico, un tempo ricopriva un ruolo importante. Era infatti passaggio obbligato per chi, volendo entrare in città, proveniva da sud, dalla "strada imperiale".
Terminato il ginnasio, nel biennio 1815-1816, Antonio Rosmini, assieme ad altri giovani di nobile famiglia, iniziò privatamente gli studi filosofici, con un insegnante, don Pietro Orsi, sacerdote profondamente religioso e molto istruito, scelto da Pietro Modesto, papà di Antonio. Poiché infatti per proseguire gli studi, il giovane Antonio avrebbe dovuto allontanarsi da Rovereto, il padre pensava in tal modo di poter avere, ancora un po', presso di sè il figlio e magari sperare di convincerlo a rinunciare alla vocazione sacerdotale per dedicarsi alla gestione del patrimonio familiare, e un domani, sposandosi, continuare il casato nobiliare.
Le lezioni si tenevano a casa del cugino e amico del Rosmini, Antonio Fedrigotti. L'insegnante usava un metodo particolare, volto a rigenerare il fisico e la mente dei ragazzi, occupati in pesanti studi: nelle ore fresche del mattino li conduceva in mezzo alla natura, in aperta campagna o lungo le rive del torrente Leno, dove, seduti magari sotto gli alberi, erano stimolati nella riflessione e in accese discussioni filosofiche e scientifiche, dove potevano dare il meglio di sè, ragionando, argomentando, obiettando, ponendo quesiti ed esponendo le proprie idee, amorevolmente seguiti ed istruiti dall'insegnante.
Al Rosmini piacevano molto queste lezioni. Inoltre gli giovava il contatto con la natura, poiché trascorreva molte ore tra le mura domestiche, tutto concentrato negli amati studi, stimolanti per la mente ma deleteri per il fisico.1)
Il giovane Antonio ne parla, nel 1816, in un lettera indirizzata al fratello Giuseppe:
«Noi qui coi nostri studi viviamo pur bene, la filosofia e la contemplazione della natura fatta (come noi facciamo) nelle ore fresche di cotesti bellissimi mattini, tanto è lungi che ci affatichi, che ci reca anzi un sì dolce sollievo, che io certo non sagrificherei per qualunque altro. Noi così vagando, a guisa degli scolari d’Aristotele,2) troviamo sempre nuovi luoghi ameni intorno a questo nostro piacevol paese. A me, mi riesce tutto nuovo per la vita ritirata e casalinga che ho sempre condotto; mi riesce tutto di singolar vaghezza, e squisito piacere mi viene apportando».3)
Perché questa premessa?
Perché forse si può capire meglio come mai un diciottenne potesse, passando per la Contrada della Terra, tutto assorto nei suoi pensieri, concepire un'idea così alta - l'idea innata dell'essere - che costituirà la base del suo geniale impianto filosofico. Chissà! Forse il giovane Antonio rientrava da una di quelle lezioni tenute all'aperto, meditando quanto sentito e discusso con l'insegnante e i compagni. O forse, riflessivo per natura, ragionava molto spesso tra sè e sè, quindi anche quando era tutto solo per via, su quanto studiava e apprendeva.
E' lui stesso a raccontare l'episodio, nel 1854, un anno prima della morte, al confratello don Francesco Paoli:
«Quand'io studiavo filosofia a Rovereto, andavo un giorno tutto solo e raccolto nei miei pensieri per la Terra speculando su tutto quello che mi veniva in mente; fermavo la mia attenzione or su l'uno ed or su l'altro degli oggetti del mio pensiero; e subitamente vedevo, che ciascuno di essi era tutt'altro che semplice, ma sì mi appariva come un gruppo di molti oggetti. Guardando però meglio, vedevo che questi, anziché molti oggetti, si avrebbero dovuti dire molte determinazioni di un oggetto più universale e meno determinato, quale maggior contenente di quelli. Rinnovando su questo la medesima analisi, che fatto avevo sugli antecedenti, mi accorgevo, che anch'esso era nella medesima condizione e che svestendolo per astrazione di quelle determinazioni meno definite, che gli restavano ancora, mi si presentava un nuovo oggetto, ancor più universale e meno determinato di quello. Dico nuovo al mio intuito, perché sotto quel nuovo aspetto io non lo avevo ancor riflesso, ma non nuovo in se stesso, perché desso era il contenente, non soltano di quell'oggetto sul quale facevo la detta operazione, ma anche degli altri, sui quali l'avevo fatta precedentemente. Continuando di questo passo, qualunque fosse il punto di partenza, io mi trovavo sempre giunto all'universalissimo oggetto dell'Essere ideale, svestito di ogni qualunque determinazione, sicché da lui non mi era possibile astrar nulla senza annullare il pensiero, e lui vedevo come contenente massimo di tutti gli oggetti già prima contemplati.
Facevo poi la verificazione. E questa consisteva nel cercare quali fossero le prime possibili determinazioni dell'Essere indeterminato, e poi quali le ulteriori e quali le ultime con che venivo per via di sintesi a trovare di nuovo a me presenti tutti gli oggetti che per via di analisi ero venuto a fare scomparire un po' alla volta dalla mia attenzione intellettiva. Allora fu ch'io mi persuasi dover essere l'Essere ideale indeterminato la verità prima, naturalmente conosciuta, il primo noto per l'immediata intuizione, e il gran mezzo d'ogni conoscenza percettiva o intuitiva che sia».4)
Quella prima intuizione dell'idea innata dell'essere, avuta passeggiando per la Contrada della Terra, anni più tardi sarà sviluppata dal Rosmini, in ambito filosofico, nel Nuovo Saggio sull'origine delle idee. 5)
Nel suo pensiero filosofico, il Rosmini mostra come la ragione non sia in contrasto con la fede, ma che con la ragione si può arrivare a comprendere l'esistenza di Dio. Invece su come sia Dio - ad esempio sul fatto che è Uno e Trino e che è Amore – questo lo si apprende per divina rivelazione.
Può essere esplicativo un aneddoto raccontato dal Paoli:
«Nel 1869 visitavo i luoghi santi di San Francesco di Assisi e, giunti alla cosiddetta Casa Nova, dove nacque il Santo, un vecchio e venerando Padre dei Francescani Riformati che la custodiscono mi parlava di Antonio Rosmini con molta venerazione. Alla mia domanda se l’avesse conosciuto, rispose che non di persona, ma per la lettura delle sue opere. Soggiungeva di non aver letto che il Nuovo Saggio sull’origine delle idee e qualche altro libro in cui maggiormente splende la vivezza della sua fede e del suo amore alla Chiesa di Cristo, ma di averne avuto abbastanza, perché “di libri come quelli – diceva – non ne scrivono che i santi”. Precise parole di quel Padre venerando, che mi restarono profondamente impresse nell’animo. Sentii, poi, in città, che anche quel buon francescano era un vero e santo servo di Dio.
E in effetti, per dire solamente del Nuovo Saggio, che cosa intende ottenere il Rosmini con quell’opera e con le altre di simile argomento? Intende mostrare e persuadere che il lume della ragione è un preambolo alla fede, è l’ingresso al lume della grazia. Infatti non è Dio, ma qualcosa di Dio: l’eterna e divina verità comunicata all’uomo soltanto in forma ideale, per cui poi, per grazia, può essergli rivelato Dio, la stessa personale verità sussistente. Dimostra che il lume della ragione è l’unica idea innata, che per mezzo di essa si possono conoscere tutte le cose create quando cadono sotto i sensi, e si può anche e si deve dimostrare l’esistenza di Dio e credere la sua necessaria sussistenza».6)
Rosmini era dotato per natura di una grande mente, ma poiché anche i doni naturali sono doni ricevuti da Dio, da usare a beneficio del prossimo e non per vantarsi, Rosmini era grato a Dio anche per quanto il suo intelletto riusciva a formulare. Un giorno l'arciprete di S. Marco, a Rovereto, don Andrea Strosio, amico di Rosmini, manifestò meraviglia sul fatto che un giovane diciottenne avesse potuto concepire con tanta chiarezza l'idea dell'essere ideale. Il Rosmini gli rispose: «Io credo che fu Dio ad illuminarmi», aggiungendo però immediatamente non nel senso di una rivelazione straordinaria. Inoltre il Rosmini si sentiva debitore dello svolgersi precoce del suo ingegno al suo insegnante e amico, don Pietro Orsi.7)
Note:
1) PAGANI-ROSSI, La Vita di Antonio Rosmini, Arti Grafiche Manfrini (Rovereto) 1959, vol. I (II), pp. 87-89.
2) Il filosofo greco Aristotele (384-322 a. C.) aveva fondato ad Atene un Liceo dove le lezioni si tenevano passeggiando all'aperto.
3) ROSMINI A., Epistolario Completo, I, Lettera 74, Rovereto 11 maggio 1816, [al fratello Giuseppe a Verona].
4) Della vita di Antonio Rosmini-Serbati Memorie di Francesco Paoli, vol. I, pubblicate dall'Accademia di Rovereto, ditta G. B. Paravia e Comp., Roma-Torino-Milano-Firenze, dicembre 1880, pp. 20-21. Vedi anche PAGANI-ROSSI, op. cit., pp. 111-112.
6) PAOLI FRANCESCO, Antonio Rosmini - virtù quotidiane, (a cura di Maria Michela Riva), Fede&Cultura, 2007, [essenziale aggiornamento linguistico Della Vita di Antonio Rosmini-Serbati , Memorie di Francesco Paoli, parte seconda, Delle sue virtù, Tipografia Giorgio Grigoletti, Rovereto 1884], pp. 18-19.
7) PAGANI-ROSSI, op. cit., p. 112. La testimonianza di mons. Andrea Strosio, arciprete di S. Marco in Rovereto è riportata in MENESTRINA EDUINO, Rosmini l'uomo e il santo - Testimonianze di Trentini, vol. II (III), Fede & Cultura, Verona febbraio 2010, p. 79.