Rosmini: Dio, amico del giusto - Rovereto città di A. Rosmini

...tra storia, cultura e fede

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Rosmini, fede: Storia dell'Amore tratta dalle Sacre Scritture
Dio, amico del giusto
Un esempio di giusto nell'Antico Testamento è Mosè 1), prefigurazione di Cristo. Egli è quel giusto che per amore di Dio ama e difende il suo popolo - il popolo d'Israele - dalla collera divina2), provocata dagli israeliti. Questi, infatti, anziché mostrare gratitudine per i molti benefici ottenuti da Dio, tra cui la liberazione dal Paese d'Egitto, mormorano contro il Creatore  ad ogni ostacolo che si presenta nel lungo cammino di liberazione dall'Egitto alla terra promessa 3).
Il racconto dell'Esodo è cosparso di simboli, che vanno oltre il mero significato letterale: così gli egiziani sono il simbolo del male, del peccato da cui allontanarsi e  la schiavitù nel paese d'Egitto è la schiavitù dell'essere umano, incatenato dal peccato. L'esodo dal paese d'Egitto è la liberazione dal male, dal peccato, a cui però l'essere umano sembra particolarmente attaccato, non solo nell'Antico Testamento, ma in ogni epoca, anche ai giorni nostri. Da qui le mormorazioni contro Dio.

Gli israeliti si lamentano contro Mosè e contro Dio e rimpiangono l'abbondante cibo che avevano in Egitto, anche se erano schiavi. Dio invia la manna, il pane dal Cielo, prefigurazione dell'Eucarestia (pane eucaristico), che guarisce (salva) l'essere umano.
Ognivolta che il popolo, un popolo di «dura cervice», si lamenta contro Dio, attirandosi la divina punizione, Mosè intercede presso Dio con infinita pazienza. Ed invoca misericordia dall'Onnipotente, anche quando per Mosè significa rimetterci, rinunciando a vantaggi personali:

«Allora il Signore disse a Mosè: "Và, scendi, perché il tuo popolo,
che tu hai fatto uscire dal paese d'Egitto, si è pervertito.
Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata!
Si son fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi,
gli hanno offerto sacrifici e hanno detto:
Ecco il tuo Dio, Israele; colui che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto".

Il Signore disse inoltre a Mosè: "Ho osservato questo popolo
e ho visto che è un popolo dalla dura cervice.
Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga.
Di te invece farò una grande nazione".

Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse:
"Perché, Signore, divamperà la tua ira contro il tuo popolo,
che tu hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande forza e con mano potente?
Perché dovranno dire gli Egiziani: Con malizia li ha fatti uscire,
per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra?
Desisti dall'ardore della tua ira e abbandona il proposito
di fare del male al tuo popolo". [...]
Il giorno dopo Mosè disse al popolo:
"Voi avete commesso un grande peccato; ora salirò verso il Signore:
forse otterrò il perdono della vostra colpa".
Mosè ritornò dal Signore e disse:
"Questo popolo ha commesso un grande peccato:
si sono fatti un dio d'oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato...
E se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto!".
Il Signore disse a Mosè: "Io cancellerò dal mio libro
colui che ha peccato contro di me» 4).  
Commenta Antonio Rosmini:
«Sapeva Mosè che Dio non si sarebbe contraddetto, e che non l'avrebbe mai senza sua colpa scancellato da quel libro, dal quale l'uomo viene scancellato solo per via del peccato. Dio stesso infatti gli risponde così: “Colui che peccherà contro di me, Io lo cancellerà dal mio libro”.
Questo peccato consiste nella mancanza d'amor di Dio; e chi potrà costringere l'uomo amatore di Dio a peccare?  
[…] il grande Mosè, trattando col Signore, come dice la Scrittura faccia a faccia5), e sapendo di essere amato da Dio fuor d'ogni misura, e d'avere in Dio un fidatissimo amico che tutto gli concedeva, e appunto allora gli aveva offerto di farlo capo di un popolo più forte che Israele, parla a Dio confidentissimamente come ad amico sicurissimo e immutabile, che non rompe l'amicizia una volta stretta e non cangia i decreti già fatti.
Gli dice dunque così: "O Dio, io so che tu mi ami, e che mi hai scritto nel libro dei tuoi eletti. So ancora che non vengono meno le tue amicizie, e i tuoi decreti sono immutabili.  Cancellami dunque, se puoi, dal libro della vita, dove già mi hai scritto. Consulta la tua bontà, consulta la tua prima elezione".
Che forte argomentazione non osa di fare qui Mosè a Dio! Che dolce rimprovero, come ad amico! Come a Dio viene a dirgli così: "So di essere scritto da Te nel libro dei viventi; me lo dice quella speranza che non confonde" 6), quell'amore che tutto mi occupa di Te, che a Te mi rapisce; quell'amore che né Tu mi toglierai senza mio demerito, perché sei ottimo, né io lo vorrò mai lasciare, perché sento essere in Te la mia beatitudine; me lo dicono le infinite grazie e le rivelazioni che tu mi hai concesso, e i reconditi arcani della tua Provvidenza e del tuo Messia [Gesù Cristo], che ti piacque a me svelare; ma soprattutto io lo so perché Tu stesso me lo dicesti con quelle parole che non si cancelleranno mai dal mio animo: "Ti conosco per nome, e hai trovato grazia dinanzi a me" 7).
Dio è garante della giustizia
Joseph Ratzinger - Benedetto XVI



«[...] non dobbiamo dimenticare che il Dio della ragione e dell'amore [cioè il Dio di Gesù Cristo] è anche il Giudice del mondo e degli uomini, il garante della giustizia, e che a lui tutti gli uomini dovranno rendere conto. Di fronte alle tentazioni del potere è fondamentale tener presente la verità di questo giudizio: ognuno di noi dovrà render conto. Nel Gorgia di Platone c'è una parabola toccante, che non è cancellata ma accolta e valorizzata appieno dalla fede cristiana. Platone racconta di come l'anima dopo la morte si ritrova nuda davanti al Giudice. Ora non conta più quale rango avesse avuto nel mondo, se sia stata l'anima del re di Persia o di un altro principe. Un Giudice vede le cicatrici che spergiuri, ingiustizie «e ognuna delle sue azioni hanno impresso nell'anima. Per la menzogna e la superbia tutto è distorto. E niente è retto, perché essa è cresciuta senza verità. Egli vede come quell'anima sia carica di dispotismo, di lussi, di sfrenatezze, di leggerezze nell'agire, di intemperanze e di infamie... Altre volte però gli capita di avere altre anime davanti a sè, un'anima che ha condotto una vita pia e onesta, l'anima di un semplice cittadino o di un uomo comune... Allora si rallegra e la invia nell'isola dei beati». Laddove si è saldamente convinti che si dovrà render conto, anche il diritto e la giustizia sono saldi».

Joseph Ratzinger - Benedetto XVI
La Vera Europa - identità e missione
Introduzione di Sua Santità
Papa Francesco
Testi scelti
vol. 3 - Europa
Cantagalli Edizioni, Siena 2021,
p. 69.

[...] E come ad amico, parla a Dio così: "So che Tu nell'amicizia non sei mutabile come l'uomo; rompi dunque con me, se Ti dà l'animo, quell'amicizia che con divina costanza Ti sei degnato di stringere con me. Se questo non vuoi farlo per l'amore che Te l'impedisce, non aggravar dunque neanche sul mio popolo la tua mano, perché io per lui tutto mi offro a Te e mi sacrifico. Poiché se io Ti sprono a cancellarmi dal tuo libro, e Tu non lo fai; molto più rinunzio a tutti gli altri beni, purché il mio, anzi il tuo popolo, sia salvo".
Mosè, esprimendo tali sentimenti, vedeva certamente, con gli occhi dello spirito, quel Mediatore [Gesù Cristo] per i meriti del quale impetrava tutto quello che chiedeva. Come Gesù, il futuro vero Mediatore, diede tutto Se stesso per il mondo, così Mosè, in quelle infiammate parole, tutto si dava per il suo popolo, affinché Iddio si ricordasse di Colui che solo veramente merita di essere esaudito, il futuro Messia [Gesù Cristo], del quale egli non era che una figura.
Poiché a quel modo che Gesù Cristo, unito come Capo al corpo dei fedeli, comunica e trasfonde in essi la salute, così Mosè si vuol mostrare congiunto indivisibilmente agli Ebrei, per essere, e lui ed essi, riserbati ad una stessa identica sorte.
Voleva cioè che quel Dio che non poteva, perché lo amava, punire Mosè, non punisse neppure il popolo che faceva con lui una cosa sola. Veniva così a far scudo di sé al suo popolo, come una madre che di sè copre e ripara il suo figliuoletto contro i crudeli che glielo volessero uccidere; o il figliuolo n'è salvo, o prima di lui ne vien uccisa anche la madre. L'amore infinito del sommo Esemplare degli uomini, Gesù Cristo, giunse appunto a un tale estremo. Egli diede tutto ciò che poteva dare, cioè tutto Se stesso, affinché, tenendo per Sè ciò di cui non poteva spogliarsi, la giustizia e la carità, avesse, mediante appunto la sua giustizia e la sua carità, di che far dono agli uomini, i quali disgraziatamente si erano dal loro nemico, il demonio, lasciati spogliare anche di ciò che questo, se essi non avessero consentito, non avrebbe mai potuto derubarli, ossia della giustizia e della carità» 8).
Non è questa deplorabile pazzia?
dalla lettera all'amico Stoffella
«[…] Oh Dio! quale oggetto di soda sapienza! Infatti l’eternità sola bene meditata ci fa conoscere quanto poco noi dobbiamo prezzare tutte le cose terrene; l’eternità è quella che ci rimprovera e sgrida per gli affetti che abbiamo volti a qualche oggetto momentaneo, mentre dovevamo tutti riserbarli per un oggetto eterno; ella ci nota e ci fa rincrescere per fino i momenti di tempo che abbiamo perduto per l’eternità e che sono irreparabili.
Ben questa maestra mi fa capire quanto avessero ragione i santi di chiamare pazzo il mondo, che tanto si affatica per cose che debbe tosto irreparabilmente lasciare. Pazzo in vero, che per queste cose muove guerre, nutre odii, cagiona stragi, e suda, e gela, e si logora in continui stenti, in isforzi, e sollecitudini, in angustie; per queste cose, ripeto, che l’uomo ben presto lascierà per sempre, entrando nudo in quella terra da cui è uscito e senza avere fatto nulla per l’ETERNITÀ!
Se questa non è deplorabile pazzia, qual mai sarà?
Iddio ci dà il tempo e il modo di raccogliere tesori che debbono durare eterni; noi non ne facciamo nessun caso, lasciamo che trascorra tutto il prezioso tempo della vita; e non abbiamo ribrezzo di trovarci al capezzale della morte, poveri di tanti meriti di cui potevamo arricchire; di comparire al tribunale d’un Dio giustissimo e onnipotente, ignudi d'ogni bene, a rendere conto rigorosissimo di tutte le grazie perdute, di tutte le chiamate non ascoltate, di tutte le ingratitudini verso quel Signore che ci prodigava le più copiose misericordie. Sappiamo che la vita presente è il tempo assegnato alla misericordia; sappiamo che la vita futura è destinata alla giustizia; e, con sì poco riflesso, lasciamo trascorrere tutta questa vita, il tempo da operare la nostra salute, e freddamente andiamo di continuo incontro al tempo della giustizia. Quale stupidità! quale pazzia inconcepibile, se la esperienza non la mostrasse! [...]».9)
Note:

1) La storia di Mosè e dell'Esodo, collocata circa tra il 1250 e il 1200 a. C., è narrata nei libri che fomano il Pentateuco: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. In passato venivano attribuiti a Mosè; all'epoca di Rosmini si credeva ancora che fossero stati scritti da Mosè. Attualmente gli studiosi li collocano tra il XIII e il VI secolo a. C..
2) Si tratta di un'espressione che implica una concezione antropomorfica della divinità: Dio non va in collera, ma siamo noi che, disobbedendo a Dio, ci procuriamo i castighi provocati dal male commesso.
3) Nel Nuovo Testamento la terra promessa da Dio non è più un luogo situato in questa esistenza terrena, ma si situa in una dimensione ultramondana.
4) Esodo 32, 7-12, 30-33.
5)  «Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè - lui con il quale il Signore parlava faccia a faccia - [...]», Deuteronomio 34, 10.
6) Romani 5, 5.
7) Esodo 33, 12.
8) ROSMINI A., Storia dell'Amore, Città Armoniosa 1977, (trasposizione e aggiornamento linguistico di suor Maria Michela Riva, rosminiana), pp. 71, 73-74.
9) ROSMINI A., Epistolario Ascetico, I, Lettera 52, Milano 16 luglio 1826, [al prof. Bartolomeo Stoffella a Rovereto]. "ETERNITA'" nella lettera è scritta in maiuscolo da Rosmini stesso, mentre il grassetto è nostro.
  
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