Rosmini: il principio di passività - Rovereto città di A. Rosmini

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Rosmini, la vita: a Rovereto
Il Principio di passività
Nel 1821, anno in cui diventa sacerdote, il Rosmini acquista consapevolezza della graduale modifica del suo comportamento, inconsciamente portata avanti fino a questo momento, nello svolgere opere di carità in favore del prossimo e a gloria di Dio. Tale coscienza lo induce a formulare quel cosiddetto principio di passività, che adotterà come norma di condotta per il resto della vita.

Questo principio sarà anche la base su cui fonderà, nel 1828, l'Istituto (Società) della Carità.

Cos'era successo?
Prima del sacerdozio, spinto dalla tipica esuberanza giovanile, Antonio aveva ideato ed avviato diversi progetti di bene, tra cui la Società degli Amici per la diffusione della religione cattolica, che erano falliti.

L'esperienza l'aveva dunque persuaso che non tutto il bene desiderato è fattibile e che il successo di un'impresa non dipende tanto dagli sforzi umani, che sono comunque limitati, ma da circostanze che, secondo l'insegnamento cristiano, si riassumono nel concetto di Provvidenza di Dio. E' Dio che, nel suo grande disegno d'Amore sul mondo, ispira e dà impulso alle necessarie opere di bene.
Che fare, dunque, in attesa della "chiamata" di Dio?
La risposta che egli dà si rifà a quell'umiltà cristiana che in Rosmini aveva un fondamento razionale e soprannaturale e che lo distingue da quelle molte persone - anche al giorno d'oggi - pronte a darsi da fare ovunque scorgano parvenze di bene.
Con questa umiltà il Rosmini enuncia nel suo Diario il principio di passività:

«Già da molto tempo io avevo messo in pratica, senza espressamente propormelo, il principio della passività, mossovi dalla consapevolezza della mia assoluta impotenza e dalla stessa esperienza ammaestrato. Perciocchè ogniqualvolta io avevo per innanzi intrapreso qualche cosa, come la sopra indicata Società degli amici1), essa non era appunto riuscita, permettendolo Iddio, acciocchè aprissi gli occhi sopra me stesso, e deponendo il nativo mio orgoglio conoscessi la mia impotenza. Riflettendo poi sopra la mia condotta passiva, riconobbi anche espressamente quant'era giusto e necessario quel principio di passività che, quasi senza che io lo sapessi, mi guidava»2).
Applicandolo poi concretamente alla sua vita di sacerdote, così scriverà il Rosmini:

«Io, indegnissimo sacerdote3), mi sono prefissato di seguire una regola di condotta consistente in due principi, che sono i seguenti:

1) di pensare seriamente ad emendare me stesso dai miei enormissimi vizi e a purificare l'anima mia dall'iniquità, di cui è aggravata fino dal nascere, senza andare in cerca di altre occupazioni o impedimenti a favore del prossimo, trovandomi nell'assoluta impotenza di fare da me stesso cosa alcuna in suo vantaggio;

2) di non rifiutare gli uffici di carità verso il prossimo, quando la divina Provvidenza me li offerisse e presentasse, essendo Iddio potente di servirsi di chicchessia ed anche di me per le opere sue, e in tal caso di conservare una perfetta indifferenza a tutte le opere di carità, facendo quella che mi è proposta con eguale fervore come qualunque altra, in quanto alla mia libera volontà»4).
Per quanto riguarda l'indifferenza nello svolgere le opere di carità, il Rosmini si rifà a Sant'Ignazio di Loyola, tra i santi patroni dell'Istituto della Carità.

«Il cristiano che ha queste regole per la sua condotta, con altrettanta facilità e serenità sarà disposto a cambiare condizione quando gli si manifesti la volontà di Dio o quella dei suoi superiori che fanno le veci di Dio. Il suo animo sarà sempre costituito e conservato in quell’aureo stato di indifferenza che sant’Ignazio raccomandava tanto e che pose a fondamento dei suoi Esercizi Spirituali, cioè di tutta la vita spirituale»5).
Il principio di passività non dev'essere superficialmente interpretato come un principio che favorisce l'inerzia. Tutt'altro. Chi considera Dio come punto fondamentale della sua vita, sa che l'essere umano per la sua natura finita e decaduta a causa del peccato originale, non è in grado di compiere da sè opere di vita eterna, in vista della salvezza dell'anima6). Ma è in grado di compierle solo attraverso l'azione divina, chiamata grazia.  Dio, inoltre, con la Sua onnipotenza può servirsi di chiunque, anche delle creature più infime per compiere i Suoi disegni: basti, ad esempio,  pensare ad un San Paolo, persecutore dei primi cristiani, che, per grazia di Dio, è divenuto apostolo dei pagani ed ha versato il suo sangue per Cristo.
Da questa convinzione, ispirata dalla saggezza evangelica, il cristiano maturo riconosce la propria miseria ed impotenza, ma sa che con Dio può fare tutto. Il cristiano è chiamato a purificare sè stesso - nella fase di passività - onde evitare di rimanere invischiato nell'amor proprio e nella personale soddisfazione, dopo aver seguito i propri desideri ed istinti nella scelta di un'opera di bene. Chi invece segue l'impulso che proviene da Dio, viene coinvolto nell'infinito disegno provvidenziale dell'Onnipotente.7)
L'anima che si lascia lavorare da Dio
di Santa Teresa D'Avila



«L’abbandono con cui quest’anima si è rimessa nelle mani di Dio, unito al grande amore che ella Gli porta, la rende così soggetta da non sapere né volere che una cosa: che Egli [Dio] faccia di lei tutto quello che vuole. Credo infatti che Dio non conceda mai questa grazia se non all’anima che già ritiene tutta sua. E così, senza che ella se ne accorga, fa in modo che esca da questo stato segnata con il suo sigillo. Del resto, qui l’anima non è più di una cera su cui s’imprima il sigillo. La cera non s’imprime il sigillo da sé: essa non fa che tenersi pronta a riceverlo con la sua mollezza. Ma anche in questo non è essa che si modifica: ciò che essa fa è soltanto di stare immobile senza opporre resistenza. Oh, bontà di Dio! Anche qui dev’esser tutto a vostre spese [a spese di Dio]! L’unica cosa che chiedete è la nostra volontà: cioè, che la cera non opponga resistenza».

Santa Teresa d'Avila (1515-1582)
da
Il Castello Interiore
L'oggi...
L'odierna mentalità occidentale fatica a comprendere ciò, perché è assai diffusa la convinzione che l'essere umano possa dirigere tutto al meglio e risolvere tutti i problemi senza l'aiuto di Dio, di cui pensa di poterne fare a meno. Ma così non è! Sperimentiamo ogni giorno la nostra fragilità ed incapacità nel far fronte ad eventi che ci sovrastano, anche se magari non lo vogliamo ammettere. Il problema dell'uomo moderno è il forte accecamento dovuto all'orgoglio. Ma che ci piaccia o meno, non siamo immortali, nè infiniti nè onnipotenti: solo Dio lo è!


Note:

1) Il 27 settembre 1819, il giovane Antonio coinvolge due suoi amici di Università, Sebastiano de Apollonia e Giuseppe Bartolomeo Stoffella, nel progetto della Società degli Amici, il cui scopo era quello della difesa e diffusione della religione cattolica. Vi furono successivamente coinvolte altre persone. Un anno dopo tentarono di esportarla in Friuli. Ma il tutto durò solo un paio di anni.
PAGANI-ROSSI, La Vita di Antonio Rosmini, Arti Grafiche Manfrini (Rovereto) 1959, vol. I (II), pp. 177-180, 184-186.
2) ROSMINI ANTONIO, Diario della Carità, anno 1821, in ROSMINI ANTONIO, Scritti autobiografici inediti, (a cura di Castelli Enrico), Anonima Romana Editoriale, Roma 1934, XIII, p. 297.
3) «Indegnissimo sacerdote»: come il Rosmini, una figura così straordinaria che tanto bene fece al suo prossimo? Sì, solo i santi riescono a comprendere l'abisso di male prodotto dal peccato, in cui finisce l'essere umano che si stacca da Dio. «O Gesù buono, Ti ringrazio per questa grande grazia, cioè per avermi fatto conoscere quello che sono per me stessa: miseria e peccato, nient'altro. Da me stessa posso fare una cosa soltanto, cioè offenderTi, o mio Dio, poiché la miseria non può fare nient'altro da se stessa che offendere Te, o Bontà infinita», scrive Santa Faustina Kowalska il 10 gennaio 1935, nel suo noto Diario La Divina Misericordia nella mia anima, capolavoro di mistica.
4) PAGANI-ROSSI, 1959, vol. I, op. cit., pp. 208-209.
5) ROSMINI A., "Massime di Perfezione Cristiana - adatte ad ogni persona in qualsiasi condizione", trasposizione e aggiornamento linguistico di suor Maria Michela Riva, rosminiana, Edizioni Rosminiane Sodalitas, Stresa 2020, pp. 30-31. Si tratta della quarta massima: "Abbandonare totalmente sè stesso nella Provvidenza di Dio", n. 18 VII.
6) Secondo l'insegnamento della Chiesa cattolica, una persona che è volontariamente separata da Dio può, di sua iniziativa, compiere delle opere di carità materiale nei confronti del prossimo, ma tali opere non hanno valore per la salvezza eterna dell'anima. Per salvarsi bisogna essere uniti a Dio.
7) Per quanto riguarda il "principio di passività" abbiamo attinto da: PAGANI-ROSSI, 1959, vol. I, op. cit., pp. 207-210.
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