Rosmini e la povertà roveretana - Rovereto città di A. Rosmini

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Rosmini, la vita: parroco in S. Marco.
«Ho lacrimato di compassione!»
Istituisce lo Specchio della povertà roveretana
Guardando la condizione delle famiglie povere, «più volte mi è accaduto di lacrimare di compassione»1), afferma il Rosmini, in occasione dell'ingresso come parroco in San Marco, avvenuto il 5 ottobre 1834.

I bisogni della parrocchia, che contava settemila abitanti - soprattutto quelli spirituali ma anche materiali - erano enormemente accresciuti e si erano aggravati nei trent'anni precedenti all'arrivo del Rosmini. Non tanto per l'incuria o il cattivo volere dei parroci, che anzi si erano dimostrati zelanti, ma perché mancavano validi aiuti che potessero sostenerli2).
Anche il Rosmini faticherà e non riuscirà ad ottenere il necessario numero di sacerdoti cooperatori che gli sarebbe servito per far fronte alle molteplici necessità della parrocchia. Nonostante ciò riuscirà a fare comunque molto, in poco tempo.
Rovereto, campanile di S. Marco con le antiche mura.

A descrivere la situazione della parrocchia è il Pagani, «forse drasticamente, ma su precise testimonianze documentate»3):

«Affievolito il sentimento della pietà cristiana per la scarsezza di istruzione religiosa; trascurati i sacramenti e le pratiche devote; i fanciulli abbandonati a se stessi per l'indolenza dei genitori; la gioventù non ad altro intenta che ai sollazzi e ai piaceri; il ceto artigiano che era numerosissimo, disamorato della famiglia, rintanato nelle taverne non soltanto le feste, ma ogni sera; molti poveri, famiglie cariche di debiti, lacerate spesso da intestine discordie»4).
Dopo aver valutato la disastrata situazione morale ed economica delle famiglie, il Rosmini  però non condanna i padri e le madri di famiglia: «Più volte mi è accaduto di lacrimare di compassione, anziché d'infiammarmi di sdegno, sulla negligenza e sull'abbandono dei genitori. Il bisogno, l'ignoranza, i mali costumi opprimono ad un tempo l'energia intellettuale e morale di quei miseri padri di famiglia; non rimane loro quiete d'animo sufficiente, non capacità, non volontà di attendere all'educazione dei figliuoli».
I padri, non riuscendo a mantenere la famiglia, si danno al bere, a casa picchiano le mogli, che sono madri «snaturate». E chi ci rimette sono i figli, questi «innocenti, nati, cresciuti nel disordine, nella miseria, nello scandalo, non ricevono che impressioni di malevolenza».      

Cosa fare dunque? Già nel giorno dell'ingresso in parrocchia, il Rosmini si rivolge ai ricchi, che spesso erano anche i datori di lavoro: «Voi, o ricchi, siete deputati dal cielo a soccorrere i vostri fratelli poveri: voi dovete cooperar meco in questa grand'opera di levare dal fondo quella porzione di umanità che veggiamo atterrata da tanti mali: solo seguendo questo vostro dovere, potete campare il pericolo delle ricchezze5) […] molto si farà, o fedeli, per esse [famiglie], se quelli che fra voi sono facoltosi vogliano darmi cooperazione, vogliano esser meco i padri e le madri dei poverelli».6)
Risparmiate tutto il superfluo...
Lo spirito di povertà nell'Istituto della Carità

Antonio Rosmini



«Quanto alla povertà di cui mi scrivete, raccomando in primo luogo di infonderne l’amore in tutti i nostri, magnificandone l’eccellenza col lume e collo spirito del suo innamorato S. Francesco d’Assisi. In secondo luogo, fatela praticare in quella maniera che potete il più: risparmiate tutto il superfluo, fosse un ritaglio di carta; niente i nostri mandino a male, o consumino inutilmente. Fra le cose necessarie e quelle che si debbono usare per cagione del luogo in cui sono, scelgano sempre le più economiche: il bisogno e la convenienza del luogo sia vera, non immaginaria: se si potesse credere che vi avesse di superfluo un solo filo, si tolga via».

Lettera a don Giovanni Battista Pagani,
superiore in Inghilterra dell'Istituto della Carità,
Stresa 8 dicembre 1839.

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«Per amore della santa povertà fate in modo che tutte le lettere che mi si scrivono dal Calvario e dal Collegio ogni volta sieno unite in un sol piego, altramente si pagano molte lettere inutilmente».

Lettera a don Giuseppe Setti a Domodossola,
Stresa 11 dicembre 1839.
La «causa dei poveri» sarà,  come afferma il Rosmini, la cura principale della sua attività di parroco. Tuttavia è da intendersi bene cosa significhi la «causa dei poveri», poiché oggi  può essere erroneamente intesa in maniera ideologica. Consapevole del ruolo del sacerdote in cura d'anime (parroco) e illuminato dalla carità di Cristo, che abbraccia tutte le necessità dell'essere umano, il Rosmini sa che deve anzitutto curare i mali morali dei poveri parrocchiani, per ricostruire la persona e con essa i rapporti familiari. Solo così si possono ottenere dei migliormenti sociali ed economici:
«La causa dei poveri sarà cura mia principale. Non mi cale solo di loro temporali sciagure: il mio ufficio riguarda soprattutto le morali: la massima di queste si è che a quelle famiglie mancano il più sovente i genitori: il padre e la madre non ne hanno che il nome; veramente si debbono tra i fanciulli enumerare: quelle famiglie sono orfane, i loro membri tutti pupilli...»7).
Fin da subito il Rosmini inizia a visitare le case dei parrocchiani, senza distinzioni tra poveri e ricchi, per conoscerli uno per uno e rilevarne le necessità più urgenti. I poveri ricevevano degli aiuti dalla parrocchia e dalla Congregazione di Carità8). Valutando in base ai bisogni, il Rosmini assegna alle famiglie più povere una quota settimanale o mensile che va ad arrotondare il non sufficiente sostegno economico delle suddette due istituzioni. E lo fa di tasca propria: nell'anno in cui fu parroco, il Rosmini diede ai poveri ben tremila fiorini, cifra tutt'altro che irrilevante9).
Attua la carità con spirito di intelligenza: non distribuisce gli aiuti a caso, onde evitare che alcuni ne abbiano in sovrabbondanza mentre per altri non siano sufficienti. Sin da principio compila una lista esatta di tutte le famiglie bisognose. In qualità di parroco di S. Marco, presiede la Congregazione di Carità, che considera suo interlocutore privilegiato nell'aiuto ai poveri.10)
Su invito della stessa Congregazione di Carità, il 25 marzo 1835, tiene una relazione ai soci su come distribuire le entrate per i bisognosi tenendo conto della maggiore equità possibile.
Dopo aver richiamato l'importanza sociale e cristiana dell'opera, il Rosmini fa presente come al momento l'unico criterio che vigeva per la distribuzione delle risorse erano le specifiche suppliche presentate dai poveri e le relative informazioni di verifica portate dalle persone incaricate di visitare il bisognoso richiedente. Esaminati i limiti di tale criterio, Rosmini propone una soluzione organica ed efficiente: l'istituzione di un libro intitolato Specchio della povertà roveretana. In tale libro sono registrate tutte le famiglie povere, le persone da cui sono composte, il domicilio, l'età, lo stato di salute, i fondi posseduti, i mobili, i guadagni, i bisogni ordinari e straordinari.
Alla fine dell'anno si farà un calcolo di previsione per l'anno che viene per vedere di quale somma possa disporre la Congregazione, dividendola per dodici mesi.11)
Una volta lasciata Rovereto, il Rosmini continuò a sostenere i poveri della parrocchia di S. Marco: ne abbiamo testimonianza da una lettera scritta nel 1836 a don Carlo Aliprandi, cooperatore della parrocchia di S. Marco, nella quale il Rosmini conferma di dargli la somma da lui assegnata mensilmente per i poveri.12)



  
La poveretà è un atteggiamento del cuore...
Papa Francesco



«Non dimentichiamo che per i discepoli di Cristo la povertà è anzitutto una vocazione a seguire Gesù povero. È un cammino dietro a Lui e con Lui, un cammino che conduce alla beatitudine del Regno dei cieli (cfr Mt 5, 3; Lc 6, 20). Povertà significa un cuore umile che sa accogliere la propria condizione di creatura limitata e peccatrice per superare la tentazione di onnipotenza, che illude di essere immortali. La povertà è un atteggiamento del cuore che impedisce di pensare al denaro, alla carriera, al lusso come obiettivo di vita e condizione per la felicità. E’ la povertà, piuttosto, che crea le condizioni per assumere liberamente le responsabilità personali e sociali, nonostante i propri limiti, confidando nella vicinanza di Dio e sostenuti dalla sua grazia. La povertà, così intesa, è il metro che permette di valutare l’uso corretto dei beni materiali, e anche di vivere in modo non egoistico e possessivo i legami e gli affetti».

19 novembre 2017.
Carità verso i poveri e verso i ricchi...
Qui proponiamo alcune riflessioni. Vediamo come il Rosmini parroco si cura di tutte le sue "pecorelle", senza distinzione tra ricchi e poveri. Questo del resto è l'atteggiamento di Cristo, che il sacerdote è chiamato ad incarnare. Ed è anche l'atteggiamento che deve avere ogni battezzato. Distinguere il ricco dal povero non è cristiano, ma non è nemmeno cristiana quella convinzione ideologica che, ritenendo il Cristo morto solo per i "poveri" (intesi in senso economico), esalta e contrappone quest'ultima categoria alla prima.
I poveri necessitano di aiuto materiale, morale e spirituale, ma anche i ricchi necessitano di aiuto. L'aiuto di cui necessitano i ricchi è soprattutto aiuto morale e spirituale, poiché la ricchezza, salvo rare eccezioni, rende il cuore dell'uomo avido, egoista, mai sazio di possederne sempre di più. E questo è un grande pericolo per l'anima, che rischia di dannarsi all'inferno. Il compito principale del sacerdote è quello di salvare le anime. Il Rosmini, chiedendo al ricco aiuto per i poveri, esercita doppia carità: quella materiale in favore dei bisognosi e quella spirituale, aprendo il cuore dei ricchi alla generosità e dando loro l'occasione di salvarsi l'anima.
La Chiesa non ha mai condannato la ricchezza in sè stessa, ma il cattivo uso che se ne fa. Molti santi di ricca famiglia - come San Francesco d'Assisi, Santa Chiara d'Assisi o Sant'Antonio abate in Egitto - hanno distribuito tutti i loro averi ai poveri prima di seguire Cristo. Però vi sono persone che si sono santificate, usando bene la loro ricchezza: il Rosmini è una di queste.
Note:

1) ANTONIO R., Discorso in occasione del prender possesso della Parrocchia di S. Marco di Rovereto 1834, [Tip. Pogliani Milano 1843], Longo Editore, Rovereto 1997. Presentazione di Virginia Crespi Tranquillini. Ristampato in occasione del bicentenario dalla nascita di Antonio Rosmini (24 marzo 1797), p. 29.
2) PAGANI-ROSSI, La Vita di Antonio Rosmini, Arti Grafiche Manfrini (Rovereto) 1959, vol. I (II), p. 657.
3) VALLE ALFEO, Rosmini e Rovereto 1834-1835, Longo Editore, Rovereto, 1985, p. 31.
4) PAGANI-ROSSI, op. cit., p. 657.
5) «E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Matteo, 19, 24). Il Vangelo non condanna la ricchezza in sè stessa, ma mette in guardia dal pericolo che ne può derivare per chi la possiede, poiché è molto facile attaccare il cuore alla ricchezza, cedere all'avidità di volerne sempre più e non condividerla con i poveri.
6) ANTONIO R., Discorso in occasione del prender possesso della Parrocchia di S. Marco di Rovereto 1834, op. cit., pp. 29, 30.
7) Ivi, p. 30.
8) La Congregazione di Carità venne istituita nel 1811 da un decreto napoleonico in ogni comune del Dipartimento dell'Alto Adige, sotto cui si trovava all'epoca anche Rovereto. In tale istituzione erano state concentrate tutte le opere pie preesistenti, gestite dalle confraternite. Terminato il periodo napoleonico, l'Austria la mantenne. La Congregazione di Carità roveretana gestiva tra l'altro l'Ospedale (che si trovava accanto alla chiesa di Loreto), l'Orfanatrofio Vannetti, la Casa di ricovero e di lavoro e il Monte di Pietà.
9) Per fare un paragone: nel 1825 la Confraternita della Beata Maria Vergine del Suffragio di Rovereto decide di far erigere un nuovo organo nella propria chiesa. Il costo è di 670 fiorini, una cifra rilevante che la confraternita da sola non riesce a coprire; pagherà a rate e ricorrendo al sostegno di benefattori. Libro B-Libro delle Congreghe della Confraternita Alemanna eretta nella chiesa di S. Maria del Suffragio l'anno 1802, 1818-1838 e 2 agosto 1840, Ms,  pp. 55-56, [Archivio storico parrocchiale di S. Marco, Rovereto].
10) PAGANI-ROSSI, op. cit., pp. 657-658. Vedi anche: VALLE ALFEO, op. cit., pp. 33-34.
11) PAGANI-ROSSI, op. cit., p. 658. Vedi anche: VALLE ALFEO, op. cit., pp. 34, 36.
12) A. ROSMINI, Epistolario completo, V, Lettera 2775, Rho 8 maggio 1836, [a don Carlo Aliprendi cooperatore di S. Marco a Rovereto].
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