Rosmini, cultura
Pio VII e Napoleone
Dal Panegirico su Pio VII
Anche a Rovereto, poco più di un mese dopo la morte di Pio VII, avvenuta il 20 agosto 1823, si celebrano le solenni esequie dell'amato Pontefice. A Rosmini viene chiesto di tesserne l'elogio funebre. Un incarico che accoglie volentieri, pur consapevole delle difficoltà, pensando anche al bel ricordo che Pio VII gli aveva lasciato, in un incontro personale avvenuto pochi mesi prima, nell'aprile di questo stesso anno, durante il primo viaggio che il Rosmini intraprese a Roma. L'elogio sarà letto pubblicamente nella chiesa di S. Marco. Il testo, oggetto di censura da parte del governo austriaco, sarà pubblicato, ulteriormente integrato, nel 1831, con il titolo Panegirico alla santa e gloriosa memoria di Pio VII. Nel manoscritto - che conta 110 facciate - il Rosmini affronta tematiche di vario genere, storiche, religiose, morali, politiche, mettendo a confronto le virtù cristiane di Pio VII (che rappresenta i Pontefici in generale) con quelle che il mondo considera virtù, ma che tali non sono per Dio, e che sono incarnate da Napoleone. Qui proponiamo tre brevi stralci riguardanti l'assedio al Quirinale, palazzo che all'epoca ospitava il Papa, e il rapimento dello stesso.
Nel narrare le sofferenze spirituali, morali e corporali inflitte a Pio VII dagli avversari, il Rosmini accenna a fatti storici ben conosciuti dai suoi interlocutori, ma che oggi sono ignorati da molti. Integriamo dunque con qualche piccola informazione storica.
Il 2 febbraio 1808 il generale Miollis occupa Roma. Il Pontefice viene tenuto sotto assedio nel suo palazzo fino al 6 luglio 1809, quando è condotto prigioniero verso una destinazione ignota. Così scrive Rosmini:
«Entrati fraudolentemente i Francesi in Roma, le bocche d'otto cannoni appostarono di contro le finestre del Pontefice. Ma questo ancora sembrò più che indizio di crudeltà, piacer d'insulto: mentre interpellatone il Generale, si scusava con dire avere ignorato dove abitasse il Papa, e allor sapendolo rimoverebbe i cannoni: quasichè uomo vile fosse in Roma che non sapesse dove abitasse Pio: e ai Francesi era sì noto e certo il luogo, che, tenutivi sempre i cannoni, dentro quel palazzo ben custodirono il Pontefice prigioniero, d'armi circondato, stipato, stretto, diciassette mesi».1)
Pio VII si vede portare via dai Francesi, uno ad uno, i suoi migliori collaboratori, cardinali che sono importantissimi non solo per il governo della Chiesa e del Regno pontificio, ma anche perché costituiscono la sua “famiglia spirituale”, sono i suoi consiglieri, i suoi amici con cui può condividere i momenti difficili. Questo viene fatto anche con il Segretario di Stato, la più rilevante delle figure. Man mano che vengono esiliati dai francesi, a partire dal Segretario di Stato, Ettore Consalvi, Pio VII non molla, ma, con determinazione e grande coraggio, ne nomina di nuovi fino a giungere al cardinale Bartolomeo Pacca2).
Così il Rosmini descrive il drammatico, per un verso commovente ed esemplare episodio accaduto il 6 settembre 1808, mentre il Papa è prigioniero nel suo palazzo, tenuto sotto assedio dai francesi. Con il Pontefice, ma al piano di sotto, si trova il Segretario di Stato e ministro, Bartolomeo Pacca:
«[…] in quel giorno […] di pieno mattino alle pubbliche stanze del Cardinal Bartolomeo Pacca due ufficiali francesi si presentano con un sergente. Che vogliono? Intimare al ministro […] di partir per Benevento sua patria. E quando? Ancor dimani. E come? Tra forza francese. E intanto? Restare nella stanza, guardia un soldato. Ma non potrà salir le scale: comunicar questo al Pontefice; da che è quello l'istesso Palazzo del Pontefice? Nè questo: e si avvisa che dove volesse altro, grave scandalo in quell'ora medesima ne nascerebbe. Or bene, risponde il degno ministro, ed io non conosco ordini fuori che del mio sovrano; né partirò di Roma quando il Pontefice mi ingiunga di rimanere. Ottiene intanto di informare di ciò il Pontefice con viglietto che sotto gli occhi dei soldati deve scrivere. […]
Il buon vecchio 3) lette quelle amare note, alza gli occhi al cielo, trae un sospiro profondo, e che fa? Egli medesimo, egli solo con intrepidezza scende le scale del palagio: entra in segreteria di stato, si volge all'ufficiale e gli impone di dire al generale, che il mandava, “come egli stanco di tanti oltraggi al suo sacro carattere, non alla sua persona, e dello spoglio di tanti ministri, ordinava, che il ministro suo non partisse, anzi di condurlo seco nei propri appartamenti intendeva, con esso lui la propria prigionia d'ora innanzi dividere: se dal suo seno strappar lo voleano, prima avrebbero atterrate le porte tutte che al suo appartamento conducono, e in tal caso responsabile il generale Miollis chiamava delle conseguenze dell'atto, che in Roma, che nell'orbe [= mondo] cattolico potessero derivare”. Detto ciò egli piglia per mano dignitosamente il cardinal Pacca; lo mena seco, il fa salir le scale; l'introduce nella propria sua abitazione; dove di vivere seco gli offerisce piangendo qual compagno indiviso, e oh quanto volontario compagno del proprio carcere! Oh magnanimo Pio! Com'è che non tremi tu in cospetto alla forza, e come è che trema la forza nel tuo cospetto?»4).
Il 6 luglio 1809, Pio VII viene rapito e condotto verso destinazione ignota. Salito su di una carrozza, l'anziano Pontefice è costretto ad un viaggio molto faticoso ed umiliante. Vogliono condurlo in Francia, ma decidono di tenerlo a Savona, dove rimarrà per quasi tre anni. Prosegue il Rosmini:
«E' scelta la notte al tenebroso attentato. […] Già assalito è il palazzo, già è scalato in tre parti, sono entrati chi per ispezzate finestre, chi da rotte porte: penetrati i cortili, ascesi ai corridoi, trascorrono con ispaventevoli spari, voltando in fuga chi incontrano. E' insultata nelle proprie stanze, disarmata la guardia […] invadono le camere dei prelati, e la porta già già si atterra dell'appartamento stesso del Pontefice augusto. Sonate erano due ore dopo valicata la mezza notte: il Pontefice in piedi vestito […] non concede che le porte sue si atterrino colle mazze […] intrepido comanda egli stesso che s'aprano. L'infelice generale dell'infando [= abominevole] atto, trattosi avanti propone al Pontefice di condiscendere all'Imperatore, che al pasto dell'Ecclesiastico Stato si placherebbe. Non potea Pio VII donar quel dominio da eterna Providenza fermato alla Chiesa, da undici secoli venerato, guarentigia di romana libertà, strumento di universal carità, veicolo di unione, non proprietà ma deposito dei Romani Pontefici. Pio VII risponde quanto avea sempre risposto: “Non posso”.
Insiste il generale: Pio dignitosamente ripete: “Non posso, non debbo, e non voglio [...]”. […]. Disposto dunque l'immortale Pio di morire per amor di sua Chiesa in quell'ora medesima, così risponde [ad ulteriori e peggiori minacce]: “[...] Sono risoluto, e nulla mi muoverà: non ho fatto cosa, se non dopo consultato lo Spirito Santo, e voi mi trincerete in minuti pezzi prima che farmi ritrattar quanto ho fatto”. […] Pio VII s'alza dignitosamente della sua sedia, e senza pigliar nulla, senza chieder nulla: “Andiamo” disse eroicamente “e sia in me fatta la volontà divina”. […] Il viaggio era lungo, montagnoso. Non vanno però con alcuna discrezione i conduttori del debil vecchio. Dolori di acuta colica a lui venuti pel calore eccessivo della stagione, forte scotimento ricevuto in cadere e frangersi della vettura, la fatica, il disagio faceano alcuna volta svenire il buon Padre, e a tale il ridussero, che egli medesimo dimandava se avessero ordine di tradurlo vivo o pur morto. Finalmente sono a Savona, stanchi più di condurlo essi, ch'egli di esser condotto» 5).
Pio VII rimane internato a Savona per quasi tre anni (dall'agosto 1809 al giugno 1812). Privo di informazioni e consigli, il Papa, solo, non cede alle pressioni di Napoleone, che mira unicamente ad annientare ed asservire l'autorità pontificia. Sono diversi i tentativi di piegare alle pretese napoleoniche la resistenza di Pio VII, che in un'occasione risponde: «Quando le opinioni sono fondate sopra la voce della coscienza e sul sentimento dei proprii doveri, diventano irremovibili, e non vi è forza fisica al mondo che possa, alla lunga, lottare con una forza morale di questa natura» 6). Il 9 giugno 1812, su ordine di Napoleone, che è diretto in Russia, il Pontefice viene brutalmente trasferito, senza un minimo di riguardo per l'anzianità della persona, nel castello di Fontainebleu (Francia), dove rimane priginiero per oltre un anno e mezzo:
«[...] la stanchezza, il languore, la fame, la febbre, […] patì Pio VII. Al piede di Monte Cenisio, in Savoia, già estenuato, ammalato, addotto allo stremo passo pareva il caro ed ottimo Padre. […] e in un letticciuolo chiedeva egli stesso ai monaci di colassù [sul monte] l'estremo conforto dei Sacramenti. Ma che però? Ristorato un poco, e quasi sembrava con un prodigio, dopo due giorni si vuol proseguire. […] vi pensate che Pio fosse lasciato almeno libero d'uscir del cocchio? No, perché questo era chiavato. Ma quante volte gli fu aperto? Non una in tutto il viaggio. Ma in che luogo gli si dava da mangiare? Nella carrozza. Ma la notte? Lasciavasi nella carrozza. Ma dove si metteva la carrozza? Nella rimessa, insieme colle altre, e dentrovi il Pontefice. [...]» 7).
Note:
1) ROSMINI A., Panegirico alla Santa e gloriosa memoria di Pio Settimo Pontefice Massimo, Eredi Soliani Tipografi Reali, Modena 1831, p. 87.
2) Il cardinale Bartolomeo Pacca nasce a Benevento, il 25 dicembre 1756 e muore a Roma il 19 aprile 1844. E' secondogenito di Orazio Pacca, marchese della Matrice e di Cristina Malaspina dei marchesi di Lunigiana.
3) Pio VII aveva 66 anni.
4) Panegirico, op. cit., pp. 84-85.
6) Boutry Philippe, “Pio VII”, in Enciclopedia dei Papi (2000), www.treccani.it, [ultima consultazione 26 febbraio 2022]. Nella lunga bibliografia messa a disposizione da www.treccani.it su Pio VII si trova anche il Panegirico di Antonio Rosmini.