Rosmini: la morte - Rovereto città di A. Rosmini

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Rosmini, la vita: Fuori Rovereto
Abbandonato alla divina Provvidenza
Muore il 1 luglio 1855, a Stresa
Verso la metà di agosto del 1854, Rosmini fa testamento, lasciando il suo patrimonio all'Istituto della Carità da lui fondato, di cui era preposito generale. Presagiva che la sua vita non sarebbe durata ancora a lungo, anche se non poteva immaginare che da lì ad un mese sarebbe stato avvelenato. Dopo sette anni di assenza, alla fine di agosto, ritorna a Rovereto. Qui, durante un pranzo presso parenti, si sente male; la mattina seguente non scende per celebrare messa. La cognata, Adelaide, non vedendolo, sale nella sua stanza per una verifica. Il Rosmini le confida di essere stato avvelenato: «Ieri a pranzo, appena presa la minestra, m'accorsi che ci doveva essere il veleno dentro».  Vivrà ancora pochi mesi.

Dopo essersi confidato con la cognata,  non volle più parlare dell'accaduto. Rimane alcuni giorni a letto, cercando di curarsi con quella poca esperienza che aveva di medicina e rifiuta di ricorrere ai medici, molto probabilmente per evitare di far sorgere sospetti su persone innocenti o provocare indagini dall'esito incerto, che avrebbero gettato ombra o disonore a persone a lui care.1)
A metà ottobre parte per Stresa. L'8 dicembre 1854 celebra pubblicamente la sua ultima messa, con grande gioia, essendo un giorno di somma importanza per la Chiesa cattolica: Pio IX aveva infatti solennemente proclamato  il dogma dell'Immacolata Concezione. Da sempre devotissimo alla Vergine, il Rosmini prende parte con i membri dell'Istituto ad una solennità, che anche lui, nel suo piccolo, aveva contribuito ad erigere. Infatti, tra le molte persone, a cui Pio IX aveva chiesto parere per la proclamazione del dogma, c'era anche il Rosmini.2)

Ma la sua condizione fisica peggiora di giorno in giorno, l'avvelenamento contribuisce ad accelerare la malattia del fegato, che da tempo lo tormentava. Dolori e febbre, ad intermittenza, lo accompagnano fino a maggio, quando è costretto a mettersi definitivamente a letto. Morirà il 1° luglio, nella sua camera, a casa Bolongaro. In questi due mesi di infermità sono moltissime le persone che vanno a trovarlo, amici, conoscenti, laici e sacerdoti, vescovi e rappresentanti delle istituzioni. Lui accoglie tutti con serenità e con il sorriso sulle labbra, nonostante gli atroci dolori.3)
Tra coloro che gli sono più vicini, oltre ai confratelli dell'Istituto, c'è il grande amico, Alessandro Manzoni,4) che rimane ospite in casa fino alla morte del Rosmini.

In un commovente colloquio tra i due, il Manzoni esprime all'amico infermo la sua speranza che «il Signore la voglia conservare ancora tra noi, e darle tempo di condurre a termine tante belle opere che ha cominciate: la sua presenza tra noi è troppo necessaria».

Ma il Rosmini ribatte: «No, no; nessuno è necessario a Dio: le opere che Egli ha cominciate, Egli le finirà con quei mezzi che ha nelle mani, che sono moltissimi, e sono un abisso al quale noi possiamo solo affacciarci per adorare. Quanto a me sono del tutto inutile, temo anzi essere dannoso; e questo timore, non solo mi fa essere rassegnato alla morte, ma me la fa desiderare».

«Ah! per amor del cielo, non dica questo: che faremo noi?», ribatte sgomento il Manzoni.

E a fil di voce, il Rosmini, risponde, quasi a testamento spirituale: «Adorare, tacere, godere».5)
Commosso, il Rosmini, spinto da straordinario affetto, stringe più forte la mano al Manzoni e la bacia. Sorpreso dal gesto, e, nella sua modestia, confuso, l'autore de I Promessi Sposi si china per baciare a sua volta la mano dell'amico, che teneva nella sua. Ma - racconterà - subito si accorge che contraccambiare il bacio sulla mano significava collocarsi sullo stesso piano del Rosmini; ne rimase turbato e confuso, e lasciata la mano, s'affrettò a baciargli i piedi. «Unica maniera che gli rimanesse per riprendere il suo posto», dirà il Manzoni, che sempre si era considerato inferiore all'amico. Protesta l'umile Rosmini a tale atto, ma nulla può fare! «Ah! - ribatte - stavolta la vince, perché io non ho più forza». E si ripresero la mano.6)
Antonio Rosmini muore all'una di notte, del 1 luglio 1855, dopo una lunga e molto dolorosa agonia. Il mese di luglio è il mese dedicata al Preziossimo Sangue di Cristo, a cui il Rosmini era sempre stato devoto durante la sua vita, con l'umile offerta quotidiana del suo sangue, unito al sacrificio di Cristo.7) Queste coincidenze, per i cristiani, non sono un caso.


Nessuno è necessario a Dio
Antonio Rosmini



«Nessuno è necessario al divin Redentore per la glorificazione  della sua Chiesa, cioè per la redenzione dalla schiavitù del peccato; schiavitù in cui tutti gli uomini ugualmente si trovano. Solo per la sua gratuita misericordia egli assume fra i redenti  quelli che gli piace elevare a tale onore. Di solito, poi, per le opere più grandi, egli si serve di ciò che è  più debole e più spregevole agli occhi del mondo».

Dalle Massime di perfezione cristiana,
terza massima.
Note:

1) PAGANI-ROSSI, La Vita di Antonio Rosmini, Arti Grafiche Manfrini (Rovereto) 1959, vol. II (II), pp. 482-483; MURATORE UMBERTO, Conoscere Rosmini - Vita e spiritualità, Edizioni Rosminiane Stresa 2002, p. 31.
2) PAGANI-ROSSI, op. cit., pp. 487-488.
3) Su questa fase della vita vedi: PAGANI-ROSSI, op. cit., pp. 488-521.
4) « [...] il Manzoni sarà sempre il mio Manzoni, nel tempo e nell'eternità», confiderà allo scrittore il Rosmini sul letto di morte.
5) PAGANI-ROSSI, op. cit., pp. 504-505.
6) Ivi, p. 505.
7) Ivi, p. 521.
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