Rosmini: i genitori - Rovereto città di A. Rosmini

...tra storia, cultura e fede

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Rosmini, la vita: la famiglia, i genitori
Giovanna e Pietro Modesto
una coppia dedita ai figli
E' con Giovanni Antonio Rosmini (1714-1787), il nonno di Antonio, che la famiglia Rosmini aggiunge al proprio cognome quello dei Serbati, tramite un fidecommesso1). Giovanni Antonio è l'ultimo di casa Rosmini a negoziare in seta; a lui si deve il notevole allargamento del patrimonio familiare, tramite il commercio, l'eredità ed un'oculata gestione, che renderà la famiglia Rosmini tra le più ricche di Rovereto.
Da lui e da Margherita Bossi-Fedrigotti nascono Ambrogio (1741-1818) e Pietro (Pier) Modesto (1745-1820), rispettivamente lo zio e il papà di Antonio.
I due fratelli, che andavano d'accordo, vissero insieme nella stessa casa, oggi Casa natale Rosmini: Ambrogio, architetto e pittore, amante dell'arte, che trasmise con grande passione al nipote Antonio, rimase scapolo, mentre Pietro Modesto si sposò in tarda età, a 46 anni, con Giovanna Formenti2) (1758-1842) di Biacesa, in val di Ledro, più giovane di tredici anni.

Nonostante le molte ricchezze, la coppia vive una vita morigerata e tranquilla, incentrata su profondi valori cristiani e umani e dedita all'educazione dei figli. Pietro Modesto, appassionato di letteratura e poesia, non aveva un grande ingegno e, tra i passatempi, preferiva la caccia agli studi. Assieme al fratello Ambrogio, più dotato, si dedicava alla gestione del patrimonio familiare, anche attraverso una discreta attività di prestiti ad interesse. Aveva studiato a Bologna presso il Collegio dei Gesuiti. Di carattere non sempre facile, trattava le persone con una certa energia, che in certi casi sfiorava  l'irascibilità. Partecipava alla vita pubblica non per sua volontà, ma perché gli fu richiesto.
Rovereto, Pietro Modesto Rosmini.
Il  conte Pietro Modesto Rosmini
(1745-1820),
padre del Beato Antonio Rosmini.
©casanatalerosmini
Dalle lettere al papà...


La passione per le cose belle...

Antonio visita Venezia con i compagni d'Università...

«[...] Se io volessi entrare a descrivere quanto di bello ho veduto ed appreso, non che questo, ma molti fogli di carta non sarieno bastanti. Tuttavia in ristretto ho in animo nelle seguenti lettere o a Lei, o al signor Zio, o a qualche altro dei parenti ed amici venire mano mano esponendo le cose da me vedute ed osservate; [...] Intanto eccole qui in breve la nostra vita. Tutta la molla che ci guidava fu l’amor di vedere le cose belle di Venezia; non i rumori, le sciocchezze e fantoccerie del carnovale, che in cotesta città fu quest’anno, malgrado le miserie somme, con gran festa e baldoria celebrato. Quindi noi non ispendemmo né un quattrino di tempo né di denaro in teatri, o altra simile freddura. Levati la mattina per tempo, udita la messa e fatta buona colazione, giravamo attorno per le chiese e per li palazzi fino ad ora di pranzo; dopo pranzo tornavamo in giro fino a notte: allora fatte due o tre giravolte sotto le Procuratie per veder gente e le botteghe che circondan la piazza illuminate e che fan bella vista, ci ricoveravamo intorno alle 7 a casa, stanchetti un poco, a legger la guida di Venezia per la mattina vegnente (e prendemmo la buona del Moschini [...]».

Padova 22 febbraio 1817.

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Risparmiando nel vitto si possono acquistare i libri...

Antonio è all'Università di Padova ed ha una grande passione per i buoni libri...

«[...] E a proposito di panetti veniamo alla domestica economia. M’ho saputo sbrigare dalle ciancie di donna Teresa che ci volea trattare sì suntuosamente. E questa è bella: io penso così d’aver fatto un buon guadagno alla picciola raccolta dei miei libri. Perciocché Ella si ricorderà d’avermi promesso, che se io risparmiava una lira al dì nel vitto sopra i conti di donna Teresa, quest’andrebbe in libri. E propriamente così Ella mi faceva i conti: Se voi spenderete nel vitto tre lire e mezzo in luogo di quattro e mezzo, voi avete da porre in libri di più 365 lire; da che tanti sono i giorni dell’anno. Si rammenta Ella? io ben mel rammento io, e questo fu un gran pungiglione per farmi rompere ogni contratto con Maria Teresa. Or è fatta la cosa, non meno con sua soddisfazione, io penso, che con mia: e di tutto ciò ne La ringrazio. [...]».

Padova 12 novembre 1817.

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La gratitudine per l'amore ricevuto...

Antonio ringrazia di cuore il papà che ha accettato di acquistare una preziosa libreria da lui tanto desiderata, ma la cosa che più gli è grata è l'amore del padre nei suoi confronti.

«[...] Egli m’innondò l’anima d’allegrezza contenendo la grazia che la bontà Sua mi faceva circa la libreria Venier. Quest’allegrezza per altro cagionata non era tanto dalla grazia in sé stessa, quanto dal contemplar la medesima come un luminoso segnale del paterno amor che mi porta e ch’io tanto apprezzo. Somma è la mia gratitudine, vivissimo il ringraziamento che intendo di farle colla presente. Non cancellerò mai la sua bontà dal mio cuore: non cesserò mai di innalzare al cielo le più calde suppliche perché La sparga di benedizioni, specialmente di quelle che in terra santificano lo spirito, e in ciel lo rendono beato. In tutto il mio contegno procurerò sempre di dimostrarle col fatto, come non tralasciai mai di fare, quale rispettoso amore Le serbo in cuore, e qual premura m’abbia di renderla consolata».

Padova 8 gennaio 1818.

«[...] Per altro io farò ogni cosa perché l’ottimo mio signor Padre non si debba pentir mai d’aver speso danari per me, né gli rincresca di spenderli in avvenire [...]».

Padova 19 giugno 1819.

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Gli oziosi sono infelici...

Antonio è molto occupato a Padova...
 
«Ma oh beata vita per ciò stesso quella dell’essere sempre occupato in buone cose! Gli scioperati e gli oziosi a me fanno compassione: sono infelici, e non credono quanto bene stia chi fa sempre qualche util cosa, perché non l’hanno mai provato. Queste sono le massime stesse ch’io ho sentite da Lei; e le dico perché anche dicendole ne traggo piacere. Spero che gli affari della sorella saranno bene avviati; Ella li promuova con tutto il nerbo. Perché oltre che le fanno grande onore in terra, le fanno gran merito (che è molto più) nei cieli. Io sospiro di veder la cosa fiorire e fruttare perché ho fermo nell’animo che i beni dello spirito valgono infinitamente più che tutti quelli del corpo [...]».

Padova 5 febbraio 1819.

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Simpatia... i saluti conclusivi al papà
 
« [...] Ma già la carta mi mette i termini, che non posso trapassare se non voglio scrivere sul tavolino. Onde m’e forza di baciarle riverentemente le mani, e pregarla della sua paterna benedizione [...]».

Padova 11 aprile 1817.
Ma è soprattutto Giovanna, che si premura, con la sua saggezza e con la sua indole mite ed affettuosa, donando tutta sè stessa, ad allevare al meglio i figli, sia spiritualmente sia fisicamente. Donna colta, fu educata ed istruita presso le Orsoline di Innsbruck. Si prende inoltre cura dell'intera gestione della casa.
I due coniugi sono generosi, aiutano i poveri e considerano i domestici parte integrante della famiglia, tanto che dopo la pensione rimarranno a vivere in casa fino alla morte.
Nel 1794 nasce Gioseffa Margherita, tre anni dopo Antonio, nel 1798 Giuseppe Maria, ed infine nel 1800 Felice, che morirà nel giro di un anno3).

La contessa Giovanna allevò personalmente i figli fin dalla più tenera età, instillando in loro il bene. Solo più tardi, nel 1804 (Antonio aveva sette anni), prese in casa Teresa Tacchelli, una brava giovane di Arco, per fare, diremmo oggi, da baby-sitter ai bambini. La Tacchelli visse in casa fino alla morte, avvenuta nel 1866, ad ottant'anni.
Pietro Modesto muore il 21 gennaio 1820, mentre Antonio si trova a Padova per gli studi universitari; lascia un ingente patrimonio, i quattro sesti del quale andrà ad Antonio, che saprà gestirlo fin da subito, nonostante la giovane età, con oculatezza e in favore dei bisognosi. Mentre Giovanna sopravviverà al marito ben 22 anni; morirà il 15 gennaio 1842, dopo aver visto il figlio sacerdote, parroco in San Marco a Rovereto, fondatore a Domodossola dell'Istituto della Carità, di cui ella divenne la prima ascritta. A distanza di due mesi dalla sua morte, avviene il matrimonio del figlio Giuseppe Maria con la contessa Adelaide Cristani de Rallo; mentre la figlia Margherita era morta da una decina di anni4).
Contessa Giovanna Formenti, ritratto
La contessa Giovanna Formenti
di Biacesa (1758-1842),
madre del Beato Antonio Rosmini.
©casanatalerosmini
Mia madre? Quel cuore così generoso...
Quantunque Antonio fosse portato per natura alla benevolenza verso il prossimo, anche l'educazione materna contribuì, e non poco, allo sviluppo di tali virtù, poggianti su solide basi cristiane. Piccoli episodi di quando era bambino mostrano il senso di giustizia di Antonio verso chi era meno fortunato di lui, come quando gettò dalla finestra delle calze nuove perché aveva visto passare una donna con dei bambini a piedi nudi.

In una delle sue opere, la Filosofia del diritto, il Rosmini descrive il puro sentimento verso la prole, scevro da egoismi, di cui sono dotati i genitori dalla natura: nel descrivere tale amore, soprattutto quello materno, secondo il Pagani-Rossi, il Rosmini non poteva non avere davanti a sè lo specchio di quanto ricevette da bambino dalla propria madre:

«[...] le incessanti loro sollecitudini, i timori, le cure, gli affanni, le fatiche, le veglie, i patimenti per camparlo [il figliolo] dai mali che lo minacciavano, e per farlo star bene e venire avanti prosperamente [...] M'appello massimamente al cuore materno, a questo cuore sì fiero,  sì generoso, fin anco sì atroce per inarrivabile tenerezza, che ora si trasfonde tutto in baci e in feste, ora in lacrime e in disperazioni; che in ingegno vince i sapienti, ed in attività ed in fortezza i giganti»5).
Saper dominare gli istinti...
Sulla crescita virtuosa dei figli ha inciso molto più Giovanna del marito. Pur necessitando infatti di entrambe le figure, i figli, nei primissimi anni di vita, hanno estremo bisogno delle preziose ed indispensabili cure materne. In questa età nulla infatti può sostituire la potenza educatrice della madre: così il piccolo Antonio e i suoi fratelli venivano allenati al bene, con l'affetto e la coerente testimonianza materna. La contessa Giovanna non imponeva loro la virtù, ma ne mostrava tutta la bellezza, affinché i piccoli la esercitassero non di malavoglia, ma per desiderio del bene, che in sè stesso cela la bellezza 6).
Durante un incontro spirituale con le Suore della Provvidenza da lui fondate, il Rosmini raccontò, per fare un esempio, una modalità, messa in atto da sua madre, per educare lui e suo fratello a saper reprimere le piccole voglie, governando gli istinti onde riuscire a rinunciare anche a piaceri leciti ed innocenti al fine di santificarsi 7).

Soprattutto in tempo di Quaresima, la sera la contessa Giovanna chiamava a sè Antonio e Giuseppe attorno al tavolo sul quale c'era un vassoio pieno di dolci e frutta per invogliarli a magiarne. Ma prima di darne loro, iniziava a raccontare ai piccoli alcuni tra i fatti più commoventi e toccanti della vita di Gesù, soprattutto della passione, descrivendo in maniera incisiva i disagi, i patimenti, le contraddizioni, i dolori, l'agonia e la morte patiti da Gesù per la nostra redenzione e a causa dei nostri peccati. Nell'ascoltare ciò, i ragazzini si intenerivano talmente nel sentire le molte e grandi sofferenze di Gesù, che loro stessi finivano per chiedere alla madre di non dare loro i dolci e la frutta per amore di Gesù. La madre continuava  per alcune sere in questo modo, finché i suoi figlioli non perdevano la voglia di tali cose; una volta raggiunto l'obiettivo voleva che le mangiassero per amore di Dio 8).

Dalle lettere alla mamma...


Auguri di Natale ai genitori...

«Pregiatissima e carissima Signora Madre,
La ringrazio della cara sua dei 25 Decembre, e sono a risponderle prontamente. Io di salute sto bene, e lo sono stato sempre quest’anno, anzi più del solito. Le SS. Feste e l’anno nuovo auguro felice a Lei e al signor Padre e a tutti i nostri, specialmente pieno di quei beni che non passano ma durano anco dopo la morte, anzi allora se ne conoscerà la grandezza».

Padova, dicembre 1818.

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«Conforti la sorella a non rallentare mai
né di fervore nè di coraggio...»

Antonio è all'Università a Padova e pensa alla sorella...

«[...] Conforti la sorella a non rallentare mai né di fervore, né di coraggio, né di studio, né di opera. Il fervore impetra da Dio il coraggio, il coraggio venuto da Dio chiama la meditazione, la prudenza, lo studio; lo studio regola l’opera; e l’opera finalmente produce il vantaggio nostro ed altrui. Per altro io vorrei sapere, se studia anche su libri; perché anche questo per lei è necessario. Ella la sproni, la consigli, e la sostenga [...]».

Padova, marzo 1819.

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Il cocchiere non faccia come il suo solito
di arrivare in ritardo...

«[...] La prego adunque di mandarmi alla chiesa di Vallarsa i cavalli di casa per le sette di mattina. Io conto partendo per tempissimo, poco dopo le sette esser là. Il cocchiere parta anch’egli per tempissimo da Rovereto, cioè il più tardi alle tre di mattina, e meglio se partirà alle due. Raccomando a Francesco, che il cocchiere non faccia secondo il suo solito, sicché in luogo delle sette non sia là forse alle nove, perché non vorrei aspettare; e vorrei altresì che un’ora i cavalli riposassero [...]».

Recoaro, 5 agosto 1825.

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Solo in Dio la vera e perfetta unità...

  
«[...] o non Le tiene a quando a quando un poco di quella compagnia che io Le faccio ben col cuore, mi creda, ma non posso colla persona perché Iddio vuole altramente, e dove entra in mezzo la volontà divina... [...] Le dirò solo che mi raccomandi al Signore, come spero che farà, e come fo io pure. Oh qui sta il tutto, mia carissima signora Madre, trovarci indivisibilmente uniti nel nostro buon Dio! Questa è la vera, la stabile, la perfetta unità! Le altre conversazioni umane, sebbene abbiano un dolce esterno, tuttavia non formano la vera unità, né sono stabili (perciocché cosa v’ha mai di stabile quaggiù? tutto si muta, e ci mutiam noi stessi) e sono molto meno sante e perfette. Mi creda dunque che Le sono quello che mi segno di tutto cuore, e col più sincero rispetto nel Signore il suo tenerissimo figliuolo ANTONIO».

Domodossola, 21 novembre 1830.

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Nevicata...

Il Rosmini sta andando verso Cremona...

«[...] Prima della Chiusa sparì d’in sul terreno la neve e non ne vedemmo un filo a Verona, né da Verona a Mantova. Trapassati però Mantova, la neve ricomparì, e prima in terra, che n’andava leggermente smaltata; poi anche giù dal cielo mescolata con acqua, poi asciutta, finalmente gelata, quasi una mezza tempesta. E tuttavia stiam benone, attese le precauzioni usate. E speriamo che questa burrasca passerà ben presto e uscirà il sole a rallegrarci [...]».

Bozzolo, 24 febbraio 1836.
"Innamorarsi" del bene...
Rosmini farà tesoro dell'educazione materna quando avrà modo di insegnare l'arte di educare i bambini e i ragazzi, affinché permanga in loro, per tutta la vita, la volontà diretta al bene morale.
Per Rosmini i giovani devono rimanere "affascinati" dal bene morale, che deve essere proposto loro attraverso dolci ispirazioni, senza spinte o violenze o continue minacce di punizioni.  

Il giovane  deve essere educato ad agire spinto unicamente dal vero amore per la virtù morale,  «per la sua ineffabile bellezza ed intrinseca giustizia»9), spiega il Rosmini in una interessante lettera con la quale risponde alla domanda su "come rendere durevole la virtù dei giovani collegiali", ovvero come fare in modo che i giovani, una volta usciti dal collegio, continuino a comportarsi virtuosamente.  

Le risposte date da Rosmini sono attuali, poiché si riferiscono all'educazione di qualsiasi giovane, in qualsiasi situazione e non solo in collegio: pensiamo per esempio al perché ci sono dei giovani che in famiglia si comportano in un certo modo, mentre quando sono fuori casa agiscono in tutt'altra maniera.
La verità morale si presenta in due forme, quella naturale e imperfetta e quella soprannaturale e perfetta, che viene solo dalla grazia di Gesù Cristo, attraverso i sacramenti. Con la sua grazia, Gesù Cristo non annulla ciò che naturalmente esiste di buono nell'essere umano, ma lo sublima, rendendolo perfetto.

Poiché la verità morale, in entrambe le forme, ha una forza in grado di agire nell'animo del giovane, la si deve far conoscere con coerenza e sincerità; il giovane si deve "innamorare" della sua bellezza e proprio perché attratto da tale bellezza la interiorizza; dopodiché lo si aiuta a vivere in conformità a tale bellezza.

Per Rosmini, i mezzi educativi preventivi e proibitivi, se utilizzati da soli, producono una «bontà apparente», una «bontà da collegio»: ovvero il giovane sarà costretto da tutta una serie di proibizioni e regole ad agire bene, ma una volta fuori dal collegio si sentirà libero di agire a suo piacimento.10)
Lo stesso dicasi per i mezzi preventivi al bene, quali possono essere la dolcezza dei modi degli educatori, gli elogi, le carezze o gli espedienti che rendono dolci le opere buone: se infatti da un lato dispongono al bene, dall'altro nascondono un grosso pericolo. Quale?
Le parole del Rosmini:

Tutto ciò procura «nell’animo del giovinetto una falsa direzione d’intenzione, che è pur l’occhio dell’anima, onde dipende la lucidezza di tutto il corpo, come dice il maestro Dio, perché ella non produce in fondo all’animo del giovinetto alcun vero amore della virtù per sé stessa, per la sua ineffabile bellezza e intrinseca giustizia; ma vi produce unicamente degli affetti umani verso i suoi precettori, un amore d’esser lodato, di essere carezzato, d’essere premiato, una cotal vanagloria, una stima di sé, l’ambizione, il desiderio di sovrastare a suoi simili, che impara così ad invidiare, anziché ad amare, nel quale amore starebbe pure la virtù, a cui si deve bramare di condurlo».11)
Note:

1) La famiglia Rosmini, del ramo "Al Portone", diventa famiglia Rosmini-Serbati nel 1761: Giovanni Antonio Rosmini usufruisce del fedecommesso con cui Benedetto Serbati, nel lontano 1619, istituiva la trasmissione ereditaria per via femminile del suo ampio patrimonio, a condizione che l'erede assumesse il cognome del testatore. La madre di Giovanni Antonio Rosmini era Cecilia Orefici, figlia di Cecilia Serbati. Famiglia Rosmini e Casa rosminiana di Rovereto, Inventario dell'Archivio (1505-1952, con documenti dal XIII secolo), (a cura di BONAZZA MARCELLO), Provincia autonoma di Trento-Soprintendenza per i Beni librari e archivistici e Accademia roveretana degli Agiati, Trento 2007, p. XXVII e p. 122.
2) I Formenti erano un'importante famiglia nobiliare di Riva del Garda.
3) PAGANI-ROSSI, La Vita di Antonio Rosmini, Arti Grafiche Manfrini (Rovereto) 1959, vol. I (II), pp. 28-30; Della vita di Antonio Rosmini-Serbati - Memorie di Francesco Paoli pubblicate dall'Accademia degli Agiati (vol. I (II), Stampa Paravia, Torino dicembre 1880, pp. 1-3; Famiglia Rosmini, (a cura di BONAZZA M.), op. cit., pp. 174-175, 571.
4) PAGANI-ROSSI, op. cit., pp. 30, 35-36.
5) Opere di Antonio Rosmini, Filosofia del Diritto, 27/a, (a cura di Michele Nicoletti e Franceco Ghia), Istituto di Studi Filosofici – Roma, Centro di Studi Rosminiani – Stresa  – voll. II (IV), Città Nuova Editrice, Roma 2014, n. 807, p. 209; PAGANI-ROSSI, op. cit., p. 30.
6) PAGANI-ROSSI, op. cit., pp. 40-41.
7) Ivi, p. 41.
8) Testimonianza di suor Elisabetta Monteggia, in MENESTRINA EDUINO, ROSMINI l'uomo e il santo, vol. I, Testimonianze di Religiosi, Fede & Cultura, Verona marzo 2009, p. 171.
9) ROSMINI A., Epistolario completo, V, Lettera 2771, Rho 6 maggio 1836, [a don Paolo Orsi a Rovereto].
10) Ibidem.
11) Ibidem.
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