Rosmini, la vita: parroco in S. Marco
«Parlo a voi, genitori!»
è più il danno fatto allo spirito che quello del corpo
Il 5 ottobre 1834, giorno d'ingresso nella parrocchia di San Marco, Antonio Rosmini si rivolge ai parrocchiani, chiamandoli affettuosamente «le mie pecorelle», a cui promette carità (amore), assistenza e sacrificio. Da loro attende obbedienza: i fedeli avevano insistito molto perché diventasse loro parroco, allora devono dimostrare di «essermi sempre affezionati e ubbidienti figliuoli».
Il lungo e appassionato discorso è una vera e propria catechesi – validissima ancor oggi – sul ruolo del sacerdote in “cura d'anime” (parroco), sul fine del ministero pastorale e sul rapporto che deve intercorrere tra il parroco e i fedeli, affinché vi sia una crescita spirituale e morale, non solo nella comunità religiosa, ma anche nella società più ampia.
Consapevole che non può fare tutto da solo, il Rosmini si attende una proficua collaborazione dai parrocchiani. Anzitutto si rivolge ai genitori:
«[...] non mi contento che ciascuno pensi solo a santificare sé stesso: ho bisogno che tutti vi uniate con me a pensare anche per i fratelli […] parlo a voi, genitori. Voi tutti dovete unirvi strettamente con il vostro arciprete, accordarvi con lui, con lui conferire i modi di educar bene e piamente la vostra prole. […] che potremmo ottenere noi sacerdoti, dove ricevessimo i figliuoli vostri già nelle proprie case, fino dai più teneri anni, pervertiti?».
Prima di tutto si rivolge alle «teneri madri», perché nessuno più di loro può spargere, fin dalla nascita, «i primi semi di bontà» nell'essere umano.
Sono la natura stessa, Dio, la Chiesa, la società e la famiglia - afferma il Rosmini - che depositano i nascituri nelle amorose mani delle madri, chiamate ad accudire e ad educare bene quella prole che un giorno dovranno restituire, persone cresciute e mature nell'affrontare la vita, alla famiglia, alla società, alla Chiesa e a Dio. E un giorno Dio chiederà conto di come le madri avranno amministrato tale "ricchezza".
«Nessuno più di voi, o madri, può essere meglio utile al mondo, vegliando il delicato cuore degli infanti [= bambini], che non riceva nessuna mala impressione, ma tali piegature, le quali sieno degne di conservarsi tutta la vita [...]».
E poi le mette in guardia, affinché si diano da fare per coltivare maggiormente l'anima e l'intelletto dei figli, piuttosto che il corpo1). Il «naturale affetto» vi porta a «vegliare i loro corpiccioli perché non patiscano», ma se voi sapeste quanto per i vostri bambini è più grave il danno «dell'intelletto e dell'animo, che non la frattura di una gamba o di un braccio» usereste tutta la vostra materna tenerezza per far fronte a tali pericoli.
Infine si rivolge ai padri, che devono essere consapevoli del loro dovere di aiutare le mogli nell'educazione della prole.
«[...] i fanciulli poi, che, lasciata l'infanzia, sono entrati nell'adolescenza, chiamano le paterne sollecitudini: il senno del padre deve continuare al nobilissimo lavoro del cuore materno. […] noi sacerdoti siamo istituiti per sopperire a quello che non potete far voi, non per disaggravarvi di quello che potete fare […] dovete offrire a Dio ogni giorno i vostri figlioli, la moglie, i familiari; dovete annunziare loro la sua legge, insegnarne la pratica con l'esempio, e soprattutto educare nel timore dell'Altissimo [Dio] la prole. […] i padri di famiglia miei concittadini mi aiuteranno, io avrò in essi altrettanti domestici sacerdoti, altrettanti parrocchiali cooperatori».2)
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Senza educazione morale si distrugge la società
Antonio Rosmini
«Conviene nutrire col primo latte dei suoi doveri l’uomo bambino; perciocché è pei doveri morali che la società esiste, e tutti i beni con essa: le cognizioni non sono che conseguenza della società, come l’esistenza della società non è che conseguenza della morale: porre nella educazione le cognizioni e cacciarne la morale è dunque un distruggere la società; e che restano le cognizioni quando la società è annullata? Volesse Iddio che tutti gli educatori e i moderatori dei popoli intendessero ormai queste verità salutari!».
Epistolario completo III,
A don G. Betoni Berardi,
Roma 4 gennaio 1830.
Note:
1) Qui si scorge la triplice carità (spirituale, intellettuale e materiale), specifica del carisma rosminiano, dal Rosmini esercitata sempre in unità lungo tutta la vita.
2) ANTONIO R., Discorso in occasione del prender possesso della Parrocchia di S. Marco di Rovereto 1834, [Tip. Pogliani Milano 1843], Longo Editore, Rovereto 1997. Presentazione di Virginia Crespi Tranquillini. Ristampato in occasione del bicentenario dalla nascita di Antonio Rosmini (24 marzo 1797), pp. 26-29.