Rosmini, la vita: Fuori Rovereto
Tranquillità nella tempesta
gli anni dal 1849 al 1854
Dal 2 novembre 1849, giorno in cui rientra a Stresa, dopo la lunga e tormentata vicenda dei moti rivoluzionari del 1848 e della fuga a Gaeta con Pio IX, fino all'agosto del 1854, il Rosmini vive un periodo di pace operosa, che gli permette di pubblicare alcune opere e proseguire in altre di grande rilievo, tra cui la Teosofia, impresa gigantesca di trattazione di tutto l'essere, nella sua unità e molteplicità, che non riuscirà a portare a termine e che costituisce il vertice della speculazione rosminiana. Non fila però tutto liscio. Motivi di sofferenza ce ne sono parecchi anche in questi anni, gli ultimi della sua vita.
La persecuzione nei suoi confronti è di carattere teologico, politico e filosofico, ed è la più accanita di quelle subite nell'arco della sua esistenza.
Su richiesta di Pio IX, la Congregazione dell'Indice esamina tutte le sue opere, per verificare se sono in conformità alla verità cattolica, e gli avversari fanno di tutto per giungere ad una ingiusta condanna.
Rosmini rientra da Roma segnato nel corpo e nella psiche, stanco e invecchiato, ma sereno nell'animo, per aver mostrato il suo amora alla Chiesa in tempi così duri. Va a vivere con i confratelli nel maestoso palazzo, che gli lascia in eredità Anna Maria Bolongaro, ricca nobildonna di Stresa, che in vita aveva avuto grande stima per il filosofo e fu grande benefattrice del proprio paese e della patria. Fu lei a chiamare a Stresa l'Istituto della Carità e le Suore della Provvidenza. Ma il maestoso palazzo non fa "perdere la testa" al Rosmini, che continua a vivere con i compagni la stessa vita di amore e povertà evangelica che aveva condotto fino ad ora. Il palazzo si trasforma in un luogo dedicato al culto della pietà, agli studi scientifici e letterari, all'ospitalità e alla carità. Se in casa c'erano persone ammalate le voleva visitare, entrando nella loro stanza si scopriva il capo, in segno di rispetto, come se scorgesse nell'infermo la persona di Cristo, si informava accuratamente delle condizioni dell'infermo, delle cure apprestate e raccomandava che venisse trattato con ogni attenzione e delicatezza.1)
Il governo austriaco continua a perseguitarlo per i suoi sentimenti di italianità, e, dopo aver fatto chiudere la casa dell'Istituto di Trento, fa pressione affinché chiuda anche quella di Verona. Nell'ottobre del 1850 giunge l'ordine di sgombero.2) In merito alla vicenda, scrive il Rosmini: «Abbandoniamoci pure nelle mani dell'amabilissima Provvidenza: serviamo il Signore dove a lui piace: da fare non ce ne manca».3)
In questo periodo vengono a trovarlo molte personalità di rilievo, del mondo ecclesiastico e civile, professori universitari e di scuole teologiche e filosofiche, abati, sacerdoti, religiosi e laici, per conoscerlo o per confrontarsi con lui nelle varie discipline. Tra coloro che più avevano familiarità con il Rosmini c'erano il conte Gustavo Cavour, fratello del più noto Camillo, Alessandro Manzoni, e Ruggero Bonghi4), all'epoca un giovane napoletano, profondo conoscitore della lingua greca e studioso di filosofia, che il Rosmini volle aiutare. I tre erano ospiti in casa Bolongaro anche per lunghi periodi. Il Manzoni, abitando non molto distante, veniva a trovarlo quasi tutti i giorni. Discorrevano in giardino o lungo il lago di vari argomenti, tra cui politica, religione, filosofia, e botanica. 5)
Rosmini amava passeggiare nella natura. Usciva verso sera per recarsi lungo le rive del lago Maggiore, dove poteva ammirare le limpide acque con gli isolotti, sovrastati dal cielo color zaffiro, gli ameni colli e in lontananza le cime nevose. Capitava talvolta, quando era con gli amici più intimi, che si divertisse con loro a giocare a rimbalzello, gettando sassi piatti e ben levigati sulla superficie dell'acqua. E quanto godeva nel riuscire vincitore della gara! 6)
Da una parte si registrava la polemica filosofica, che non era però molto preoccupante ed anzi permetteva in questo modo di chiarire le idee. Il Rosmini così la riassume, nel 1851, in una lettera ad un amico: «Ci sono tre schiere contro di me, e tutte nel loro fondo razionaliste: quella del Mamiani, che s’attiene ad una filosofia superficiale, e dirò così moderata; quella del Bertini che cospira col Gioberti e col Nallino, ed è un razionalismo ipermistico, e quello dello Spaventa e d’altri napolitani pazzi per l’eghelianismo, e con esso a un tempo per l’incredulità più sistematica, ossia pel più turpe o materiale panteismo».7) Il Rosmini, tuttavia, confidente della "potenza" della verità destinata comunque sempre al trionfo, è sicuro che non prevarranno gli avversari in campo filosofico e aggiuge: «Questi lo so fanno e faranno prodezze, ma sarà corta la loro zuffa, ché è impossibile che la verità non si faccia largo; quella parte di verità, voglio dire, che nelle circostanze presenti dell’umanità è divenuta necessaria, onde la Provvidenza l’ha sotto la mano».8)
Ma la polemica più aggressiva e fastidiosa, anche perché basata su pregiudizi e passioni personali e condotta nell'anonimato, era quella di carattere teologico. Si tratta della medesima persecuzione, con gli stessi avversari, iniziata nel 1841, appena approvato l'Istituto della Carità. Aveva avuto un momento di silenzio, imposto dal Papa alle parti, e poi era ripresa. Vide coinvolti alcuni membri della Compagnia di Gesù.
Rosmini si trovò ad essere il bersaglio di una poco edificante campagna denigratoria, nella quale si accusava il suo pensiero di rinnovare tutte le eresie e gli sismi del passato. In realtà gli avversari, ancorati al passato, erano preoccupati del nuovo modo di pensare del Rosmini, che proponeva soluzioni e si metteva in dialogo con la modernità. Temevano che tale modalità potesse prevalere all'interno della Chiesa. Il loro obiettivo era quello di distruggere il Rosmini e il suo Istituto, e fecero di tutto, con calunnie ed evidenti e grossolane distorsioni del suo pensiero per raggiungere il loro fine. I testi anonimi vennero fatti recapitare ai vescovi di varie diocesi italiane, per mettere in cattiva luce il Rosmini. Alcuni cascarono nella trappola e credettero alle accuse anonime, ma per fortuna altri no, respingendo con fermezza e sdegno l'intrigo. 9)
Di fronte a questi attacchi, Pio IX prese una decisione chiara, e, sperava, definitiva: quella di far esaminare attentamente tutte le opere del Rosmini, affinché una volta dimostrata la veridicità dei suoi scritti, purgati da ogni accusa, si potesse restituire la buona fama ad un uomo ingiustamente calunniato e di cui egli aveva grande stima. Il Papa scelse personalmente i membri della commissione esaminatrice, in tutto sedici, e li lasciò lavorare per tre anni. Furono anni di fuoco, in cui gli avversari fecero di tutto per far condannare dalla commissione le opere del Rosmini e per metterlo in cattiva luce di fronte al Pontefice.10)
Finalmente il 3 luglio 1854 si svolge l'atto finale di questo lungo esame, con una congregazione generale presieduta dallo stesso Pio IX. Il decreto - nominato Dimittantur opera Antonii Rosmini - è chiarissimo e dichiara che: «Si devono dimettere tutte le opere di Antonio Rosmini», in quanto non contengono nessun errore teologico e dottrinale. Sembrava dunque giungere al termine il calvario del filosofo roveretano, come anche aveva sperato Pio IX, ma così non fu. E lo si capì subito, quando i censori di Rosmini cominciarono a stravolgere il senso del decreto pontificio.11)
Come reagisce il Rosmini in tutto questo tempo? Così scrive a due frati cappuccini di Rovereto, che gli avevano manifestato la loro vicinanza: «Di poi considero che tali cose sono permesse da quell’Eterno nostro Signore e Creatore, senza il cui volere niente si fa, né in cielo, né in terra, e ogni cosa permette con altissimo consiglio, e da ogni cosa anche rea sa cavare con infallibile effetto un bene maggiore, onde anche questo solo pensiero basta a dare all’animo nostro pienissima tranquillità e dirò anche consolazione in ogni avvenimento, benché nell’apparenza sinistro».
Tra le cose positive, poi, che sa cogliere è la presenza di numerose persone che, in tali frangenti, gli hanno dimostrato vicinanza ed hanno pregato per lui. Così prosegue nella suddetta lettera: «[...] quanti amici in Cristo mi si sono manifestati in questa occasione che non sapeva pur d’avere! Quanti a me sconosciuti, anche persone ragguardevolissime, presero a petto la mia causa! E gli amici che già possedevo quanto più intimamente si strinsero a me e mi diedero prove d’un affetto cristiano maggior dell’usato!».12)
Un altro esempio lo prendiamo dalla lettera indirizzata alla baronessa Koenneritz: «[...] vivo assai tranquillo nella mia solitudine di Stresa, luogo opportunissimo a quel genere di vita che più mi diletta. E dico assai tranquillo, benché continui ad esser fatto segno di molti nemici. Presso lo stesso Santo Padre si lavora da molti, per denigrarmi e spingerlo a continuare l’opera della proibizione dei miei scritti. Ma tutto ciò non mi turba, perché confido nel Signore». 13)
Le polemiche tuttavia non impedirono al Rosmini di portare avanti la sua attività di pensatore: nel 1850 pubblica l'Introduzione alla filosofia, tre anni più tardi la Logica. Scrive, senza riuscire a concluderli, Del linguaggio teologico (verrà pubblicato nel 1880), Il razionalismo che tenta di insinuarsi nelle scuole teologiche, che uscirà postumo, nel 1882, e la suddetta Teosofia.14)
Il vero amore per la verità...
Antonio Rosmini
"Il saper sopportare senza alcun dispiacere che altri, in cose opinabili, tenga una sentenza diversa dalla nostra, non è solamente segno che abbiamo in cuore la carità, ma è anche segno che amiamo la verità, poiché colui che ama la verità, conosce e confessa pienamente di essere fallibile, e sa che la verità può esistere forse nelle menti altrui anziché nella propria".
Conferenze sui Doveri Ecclesiastici,
Domodossola 1941, p. 409.
Note:
1) PAGANI-ROSSI, La Vita di Antonio Rosmini, Arti Grafiche Manfrini (Rovereto) 1959, vol. II (II), pp. 315, 331-333; MURATORE UMBERTO, Conoscere Rosmini - Vita e spiritualità, Edizioni Rosminiane Stresa 2002, p. 28.
2) PAGANI-ROSSI, op. cit., pp. 308-309.
3) ROSMINI A., Epistolario Completo, XI, Lettera 6570, Stresa 26 maggio 1850, [al confratello don Giacomo Molinari a Verona].
4) Ruggero Bonghi (Napoli 1826 - Torre del Greco 1895), politico, docente universitario, scrittore, giornalista, deputato parlamentare e ministro, fu tra i protagonisti dell'unità d'Italia.
5) PAGANI-ROSSI, op. cit., pp. 336-338; MURATORE U., op. cit., pp. 28-29. Tra coloro che vennero a trova il Rosmini a casa Bolongaro ci fu anche il celebre John Henry Newman, futuro cardinale, convertitosi al cattolicesimo dalla religione anglicana, e oggi santo.
6) PAGANI-ROSSI, op. cit., p. 337.
8) ROSMINI A., Epistolario Completo, XI, Lettera 6855, Stresa 10 giugno 1851, [a don Francesco Puecher alla Sagra di S. Michele].
10) Per quanto riguarda gli attacchi degli avversari e l'esame dei membri della commissione vedi: PAGANI-ROSSI, op. cit., pp. 377-402.
12) ROSMINI A., Epistolario Completo, XI, Lettera 6762, Stresa 19 febbraio 1851, [ai padri Pietro e Vigilio, frati cappuccini a Rovereto].
13) ROSMINI A., Epistolario Completo, XI, Lettera 6763, Stresa 20 febbraio 1851, [alla baronessa Maria Koenneritz a Dresda].