Rosmini: biografia - Rovereto città di A. Rosmini

...tra storia, cultura e fede

Vai ai contenuti
Rosmini, la vita: biografie
Chi è Antonio Rosmini?
Antonio Rosmini nasce nella Casa di famiglia a Rovereto (oggi Casa natale Rosmini), il 24 marzo 1797. All'epoca Rovereto era una cittadina di novemila abitanti dell'Impero austroungarico ai confini con l'Italia. A causa del turbolento periodo, per via di continui conflitti tra Austria e Francia, Rovereto è spesso attraversata dalle truppe di entrambi gli schieramenti.

Antonio è accolto con grande amore da papà Pietro Modesto, uomo austero e frugale, e da mamma Giovanna dei Conti Formenti di Biacesa, donna colta, sensibile, molto religiosa, che si occupa personalmente dell'educazione dei figli.
Ci sono anche la sorella maggiore, Gioseffa Margherita, più grande di tre anni, compagna di giochi, di studio, ma soprattutto, man mano che crescono, intima confidente di Antonio negli ideali cristiani e nella vocazione. Lei entrerà nell'Istituto delle Suore Canossiane, fondato da Maddalena di Canossa. Seguono Giuseppe,  nato nel 1798, dal carattere non facile e Felice, nato nel 1800 e morto entro il primo anni di vita.
A casa Rosmini si trova inoltre Ambrogio, il fratello del padre, scapolo, architetto e pittore, molto affezionato al nipote, a cui insegnerà l'amore per la pittura e le belle arti.

Dotato di elevate capacità intellettive e di una sete insaziabile di conoscenza, stimolata dall'ambiente familiare, Antonio inizia a cinque anni ad imparare a leggere e scrivere, sotto la guida di un maestro privato, usando come testi la Bibbia, gli Atti dei Martiri e la Vita dei Santi.
A sedici anni manifesta il primo sentore della sua futura vocazione. Nel 1813 annota infatti nel suo Diario: «Quest'anno fu per me un anno di grazia: Iddio m'aperse gli occhi su molte cose, e conobbi che non eravi altra vera sapienza che in Dio». All'epoca stava frequentando il ginnasio di Rovereto che concluderà nel 1814.

Nel 1816 si reca a Padova per compiere gli studi alla Facoltà di teologia. Tra le nuove amicizie c'è anche quella con lo scrittore Niccolò Tommaseo, che durerà tutta la vita.
Nel 1820 muore il padre, che gli lascia i quattro sesti di una cospicua eredità (valutata in seicentomila fiorini) da amministrare. Farà un uso saggio del denaro di famiglia, saprà farlo fruttare e lo userà in maniera intelligente anche per molteplici opere di carità.

Viene ordinato sacerdote a Chioggia, il 21 aprile 1821. E' la tappa più importante della sua vita, che determinerà in Rosmini un differente modo di concepire la scelta dei progetti di carità da realizzare per il Regno dei Cieli. In precedenza infatti, spinto dall'entusiasmo giovanile, aveva cercato di intraprendere varie iniziative che si erano arenate. Ora, alla luce della particolare grazia di Dio ricevuta con l'ordine sacro, comprende di essere stato forse un po' troppo precipitoso e di aver quasi osato precedere il volere di Dio. Prende dunque una decisione radicale, che chiama «principio di passività» e che diventerà il fondamento della futura scuola di spiritualità rosminiana.
La partenza per Milano, nel febbraio del 1826, apre una nuova fase nella vita del Rosmini. Nel capoluogo lombardo avrà modo di conoscere e frequentare il fior fiore degli intellettuali, della nobiltà e del clero del luogo, importante occasione per fare nuove amicizie, approfondire vari aspetti culturali ed entrare in dialogo con le più diverse idee.
A Milano conoscerà due persone con cui stringerà una profonda amicizia destinata a durare tutta la vita: il conte Giacomo Mellerio, grande benefattore della città, e lo scrittore Alessandro Manzoni.
Tra Rosmini e Manzoni nasce fin da subito una reciproca stima ed ammirazione. Proprio in questo periodo è in stampa il manoscritto de I Promessi Sposi, che sarà pubblicato nel 1827. L'autore degli Inni Sacri  fa leggere il romanzo al Rosmini, che ne rimarrà entusiasta, dandone un giudizio molto favorevole.
Il principio di passività si basa su due regole di condotta: 1) anzitutto dedicarsi alla preghiera, ritirandosi dalla vita attiva, per purificare la propria anima e attendere all'unione con Dio; 2) solo in seconda battuta, se Dio lo rivela attraverso circostanze esterne, operare attivamente in progetti di carità e missione.

La conseguenza di ciò fu che per alcuni anni il Rosmini si ritira a Rovereto, nella casa paterna, in una vita di silenzio, durante la quale si dedica alla preghiera e allo studio. Escono i sui primi scritti, non tutti pubblicati subito. Il Rosmini non rifiuta però proposte di ministero sacerdotale - come l'incarico svolto nella parrocchia di Lizzana nel 1822 - poiché nell'incarico affidatogli dai superiori - nel caso di Lizzana dal vicario generale  - vi leggeva il volere di Dio.

Nel 1822 si laurea a Padova in sacra teologia e diritto canonico, con una tesi sulle Sibille.

Alla morte di Pio VII, nell'agosto del 1823, al Rosmini viene chiesto di comporre un elogio funebre (il Panegirico) sul grande Papa, che leggerà in pubblico nella chiesa di S. Marco. La manifestazione di italianità espressa nel componimento gli procurerà i primi guai con il governo austriaco.
Sempre nel capoluogo lombardo, il Rosmini matura nell'animo la vocazione religiosa, che troverà concretezza nella fondazione della Società (o Istituto) della Carità.

Così all'inizio della quaresima del 1828 - è il 20 febbraio, Mercoledì delle Ceneri - il Rosmini si ritira in una malmessa Casa di esercizi spirituali con santuario, risalente al XVII secolo, affiancata ai ruderi di un castello, sul monte Calvario di Domodossola. Lui, abituato agli agi di una vita nobiliare, sceglie di vivere in una fredda e povera cella. Prega, medita, studia. Al Calvario scrive le Costituzioni dell'Istituto della Carità, che ricaverà da un attento esame di tante altre regole e costituzioni di fondatori di ordini religiosi. La Società della Carità da lui fondata si suddivide in tre rami: il ramo maschile, i Padri Rosminiani, il ramo femminile, le Suore della Provvidenza, e gli Ascritti, laici che vivono nel mondo e condividono con gli altri membri dell'Istituto la spiritualità rosminiana.
Il 15 maggio 1829, Rosmini è accolto da Pio VIII, per avere una sua conferma riguardo le due principali missioni - gli studi di filosofia e l'Istituto della Carità - che  aveva sentito, interiormente, di dover compiere su ispirazione di Dio. Riguardo agli studi, Pio VIII si mostra molto incoraggiante:

«È volontà di Dio che voi vi occupiate nello scrivere libri: tale è la vostra vocazione. Ella maneggia assai bene la logica, e la Chiesa al presente ha gran bisogno di scrittori: dico, di scrittori solidi, di cui abbiamo somma scarsezza. Per influire utilmente sugli uomini, non rimane oggidì altro mezzo che quello di prenderli colla ragione, e per mezzo di questa condurli alla religione. Tenetevi certo, che voi potrete recare un vantaggio assai maggiore al prossimo occupandovi nello scrivere, che non esercitando qualunque altra opera del sacro ministero».

In merito all'Istituto della Carità, il Papa lo approva, ma consiglia di proseguire con umiltà e prudenza, lasciando fare al Signore.
Rientrato da Roma, nel maggio 1830, dopo le  confortanti parole di Pio VIII, il Rosmini dà inizio ad un regolare noviziato, al Calvario, con i primi quattro confratelli ed apre nuove case religiose: a Trento (1831), Verona (1833), Inghilterra (1835), Francia (1835), Stresa (1836), Torino (alla Sacra di S. Michele in val di Susa, 1836), Domodossola (1837). Si occupa della formazione dei confratelli; dirige le Suore della Provvidenza; scrive libri; in molti inoltre lo cercano per direzione spirituale.

In questi anni lo ritroviamo a Rovereto, per l'ultima volta per un tempo abbastanza lungo, come parroco di S. Marco (1834), incarico che accetta su insistenza della popolazione e che manterrà solo per un anno, a causa delle ostilità incontrate.
Nel 1836 si porta in Piemonte (Domodossola e Stresa), terra che egli considera come sua seconda patria, dove rimane praticamente per il resto della sua vita, salvo l'ampia parentesi romana del 1848.

Nel 1839, papa Gregorio XVI approva ufficialmente l'Istituto della Carità, dopo un travagliato esame della Sacra Congregazione, una parte della quale era ostile al progetto di Rosmini e alle sue idee.

Tra le opere più importanti scritte in questo periodo troviamo la Filosofia della politica (1837); l'Antropologia in servizio della scienza morale (1838) e il Catechismo disposto secondo l'ordine delle idee (1838).

Il 25 marzo 1839 - giorno dell'Annunciazione - avviene la cerimonia di consacrazione, con i primi voti religiosi perpetui di povertà, castità ed obbedienza, per i venticinque aderenti alla società. Per venti di loro la funzione si tiene al Calvario di Domodossola, mentre per gli altri cinque avviene in Inghilterra.
In pochi anni, dal 1830 in poi,  l'Istituto della Carità e il pensiero filosofico di Rosmini si espandono rapidamente, anche fuori dall'Italia. I suoi scritti iniziano ad essere studiati nei seminari; i suoi amici lo supportano, diffondendone le idee; la figura del Rosmini cresce sempre più, sia nel mondo ecclesiale sia laico; molti lo cercano, gli scrivono, uomini di cultura, cardinali, vescovi, canonici, padri spirituali.

Ma la notorietà suscita invidie, gelosie, malumori, cattiverie, maldicenze, calunnie. In campo filosofico la controversia più nota fu quella con Vincenzo Gioberti, sacerdote, filosofo e politico.
Una polemica più grossa, di carattere teologico-religioso, si accende a seguito della pubblicazione del Trattato della coscienza morale (1840). Gli avversari accusano il Rosmini di aver intaccato la dottrina teologica del probabilismo. Ma le motivazioni erano altre, essi infatti diffondono calunnie nei suoi confronti e lo attaccano sempre con opuscoli anonimi, fatti circolare segretamente. C'è inoltre la fretta di invocare e annunciare imminente una condanna ecclesiastica delle suo opere. Rosmini, poi, non è capito nel suo atteggiamento di dialogo verso la modernità.

Nel 1841, il Rosmini pubblica la Risposta al finto Eusebio Cristiano, nel tentativo di difendersi dagli attacchi dello scritto anonimo, intitolato Alcune affermazioni del signor Antonio Rosmini, prete roveretano con un saggio di riflessioni scritte da Eusebio Cristiano, il principale testo antirosminiano che circolava tra il clero.

Convinto dell'inconsistenza degli attacchi al filosofo roveretano, nel 1843, Gregorio XVI impone il silenzio alle parti, nel tentativo di far cessare le polemiche. Affievolite le polemiche, il Rosmini si dedica con più tranquillità a dirigere, da Stresa,  l'Istituto della Carità e le Suore della Provvidenza.

In questi anni pubblica: Manuale dell'esercitatore (1839); Filosofia del diritto (1841-44); Sistema filosofico (1845); Teodicea (1845); Psicologia (1846-48); Compendio di etica (1847); Saggio sul comunismo e sul socialismo (1849).
Stresa, Centro internazionale di studi Antonio Rosmini.
La profezia
Razionalismo, il male presente
Antonio Rosmini



«E' cosa certa che il male principale, che minaccia presentemente la Chiesa, è il razionalismo, che tende ad esaltar l’uomo, ad esagerare le forze della sua ragione e della sua libertà, a diminuire l’efficacia della grazia di Cristo e dei Sacramenti, a toglier via tutto ciò che v’ha di misterioso nella rivelazione, quasi per rimpastare il cristianesimo».


Dalla Lettera al card. Castracane a Roma
Stresa 12 aprile 1843.
Piemonte, Sacra di San Michele Arcangelo.
Domodossola, santuario del SS. Crocifisso, il crocifisso dell'altare maggiore.
Rosmini partecipa, fin dall'inizio, con attenzione e apprensione agli eventi che condurranno ai moti rivoluzionari del 1848. Di autentiche vedute liberali, egli desiderava un'Italia libera dalla dominiazione straniera e unita, dove la Chiesa non fosse più soggetta al potere temporale. Ma tale progetto non era quello che aveva a cuore la maggior parte di coloro che lottava per l'unità italiana.

Nei primi mesi del 1848, il Rosmini decide di pubblicare due opere, scritte in precedenza e rimaste nel cassetto, con la speranza di giovare alla delicata situazione che stavano attraversando, in quel momento, l'Italia e la Chiesa: La Costituzione secondo la giustizia sociale e Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa, opera quest'ultima per la quale è maggiormente conosciuto.  La loro pubblicazione sarà invece fonte per lui di un'aspra persecuzione.

Il Rosmini è chiamato dal governo piemontese Casati per una missione importante presso il Pontefice: doveva convincere il Papa ad entrare in guerra con l'Austria. Ma il pensatore roveretano fece altre due proposte: un Concordato tra Chiesa e Regno Sardo che avesse per base la libertà della Chiesa e una confederazione di Stati italiani sotto la presidenza del Pontefice.  
Inizialmente sembrò che il governo le accettasse, ma quando il Rosmini giunse a Roma alcune situazioni ambigue e  false promesse gli fecero capire che i suoi mandanti avevano tutt'altre intenzioni; la situazione peggiorò con il successivo governo Perrone-Pinelli.
Dal 15 agosto 1848, giorno in cui il Rosmini giunge a Roma per compiere la missione assegnatagli dal governo piemontese, al 2 novembre 1849, quando dopo oltre quattordici mesi di assenza da Stresa riabbraccerà i confratelli, è il periodo più travagliato e drammatico della vita del sacerdote roveretano. Coinvolto nelle intricatissime vicende per l'unità d'Italia dopo i moti del 1848, egli sarà a servizio di Pio IX con grande abnegazione, seguendolo anche nell'esilio a Gaeta.
Rimarrà vittima degli intrighi politici, delle ambizioni e delle invidie della maggior parte della Corte pontificia e di governanti a lui avversi. Rientrerà a Stresa, con il pesante fardello sulle spalle di una ingiusta e frettolosa condanna, ad opera della Sacra Congregazione dell'Indice, delle Cinque Piaghe e della Costituzione secondo giustizia sociale.

Appena giunto a Roma, il Pontefice gli comunica che desidera farlo cardinale, perché aveva bisogno di una persona fidata al suo fianco. Ma il progetto non viene realizzato per il precipitare degli eventi. Nella capitale, a metà  settembre del 1848, al ministero Fabbri succede quello di Pellegrino Rossi, che di lì a pochi giorni sarà ammazzato. Roma finisce nel caos. Pio IX è costretto a fuggire a Gaeta, e il Rosmini lo segue.
Dal giorno del rientro a Roma fino all'agosto del 1854, il Rosmini vive un periodo di pace operosa, che gli permette di pubblicare alcune opere e proseguirne altre di grande rilievo. La tranquillità di Stresa è tuttavia messa a dura prova da numerose persecuzioni.

Da una parte si registra la polemica filosofica, che non è però molto preoccupante ed anzi permette in questo modo di chiarire le idee. Il Rosmini così la riassume, nel 1851, in una lettera ad un amico: «Ci sono tre schiere contro di me, e tutte nel loro fondo razionaliste: quella del Mamiani, che s’attiene ad una filosofia superficiale, e dirò così moderata; quella del Bertini che cospira col Gioberti e col Nallino, ed è un razionalismo ipermistico, e quello dello Spaventa e d’altri napolitani pazzi per l’eghelianismo, e con esso a un tempo per l’incredulità più sistematica, ossia pel più turpe o materiale panteismo».

Ma la polemica più aggressiva e fastidiosa, anche perché basata su pregiudizi, invidie e condotta nell'anonimato, era quella di carattere teologico. Si tratta della medesima persecuzione, con gli stessi avversari, iniziata nel 1841, appena approvato l'Istituto della Carità. Vide coinvolti alcuni membri della Compagnia di Gesù. Rosmini si trovò ad essere il bersaglio di una poco edificante campagna denigratoria, nella quale si accusava il suo pensiero di rinnovare tutte le eresie e gli sismi del passato. In realtà gli avversari, eccessivamente ancorati alla tradizione, erano preoccupati del nuovo modo di pensare del Rosmini, che proponeva soluzioni e si metteva in dialogo con la modernità. Temevano che tale modalità potesse prevalere all'interno della Chiesa. Il loro obiettivo era quello di distruggere il Rosmini e il suo Istituto, e fecero di tutto, usando calunnie e distorcendone il pensiero per raggiungere il loro fine.

Di fronte a questi attacchi, Pio IX prese una decisione chiara, che sperava fosse definitiva: quella di far esaminare attentamente tutte le opere del Rosmini, affinché una volta dimostrata la veridicità dei suoi scritti, purgati da ogni accusa, si potesse restituire la buona fama ad un uomo ingiustamente calunniato e di cui egli aveva grande stima. Il Papa scelse personalmente i membri della commissione esaminatrice e li lasciò lavorare per tre anni. Furono anni di fuoco, in cui gli avversari fecero di tutto per far condannare dalla commissione le opere del Rosmini e per metterlo in cattiva luce davanti al Papa.

Finalmente il 3 luglio 1854 si svolge l'atto finale di questo lungo esame, con una congregazione generale presieduta dallo stesso Pio IX. Il decreto - nominato Dimittantur -  è chiarissimo e dichiara che: «Si devono dimettere tutte le opere di Antonio Rosmini», in quanto non contengono nessun errore teologico e dottrinale. Sembrava dunque giungere al termine il calvario del filosofo roveretano, ma così non fu. E lo si capì subito, quando i censori di Rosmini cominciarono a stravolgere il senso del decreto pontificio.

Le polemiche tuttavia non impedirono al Rosmini di portare avanti la sua attività di pensatore: nel 1850 pubblica l'Introduzione alla filosofia, tre anni più tardi la Logica. Scrive, senza riuscire a concluderli, Del linguaggio teologico (verrà pubblicato nel 1880), Il razionalismo che tenta di insinuarsi nelle scuole teologiche, che uscirà postumo, nel 1882, e la Teosofia, impresa gigantesca di trattazione di tutto l'essere, nella sua unità e molteplicità, che costituisce il vertice della speculazione rosminiana. Sarà pubblicata postuma e incompleta tra il 1859 e il 1874.
Dopo sette anni di assenza, alla fine di agosto del 1854, il Rosmini torna a Rovereto per visitare i suoi e risolvere alcune faccende. Qui, durante un pranzo presso parenti, si sente male. La mattina seguente, non vedendolo per la celebrazione della messa, la cognata, preoccuata, sale nella sua stanza per vedere cosa fosse successo. Il Rosmini le confida di essere stato avvelenato: «Ieri a pranzo, appena presa la minestra, m'accorsi che ci doveva essere il veleno dentro».  Dopo essersi confidato con lei,  non volle più parlare dell'accaduto. Rimane alcuni giorni a letto, cercando di curarsi con quella poca esperienza che aveva di medicina e rifiuta di ricorrere ai medici. A metà ottobre parte per Stresa.

Ma la sua condizione fisica peggiora di giorno in giorno, l'avvelenamento contribuisce ad accelerare la malattia del fegato, che da tempo lo tormentava. Dolori e febbre, ad intermittenza, lo accompagnano fino a maggio, quando è costretto a mettersi definitivamente a letto. Nei due mesi di totale infermità che lo separano dalla morte, sono moltissime le persone che vanno a trovarlo: amici, conoscenti, laici e sacerdoti, vescovi e rappresentanti delle istituzioni. Lui accoglie tutti con serenità e con il sorriso sulle labbra, nonostante gli atroci dolori.

Tra coloro che gli sono più vicini c'è il grande amico, Alessandro Manzoni, che rimane ospite in casa fino alla sua morte.
L'autore de I Promessi Sposi avrebbe desiderato che Dio lo guarisse: «Che faremo noi senza di lei?», chiede al Rosmini, il quale risponde a fil di voce, quasi a testamento spirituale: «Adorare, tacere, godere».

Antonio Rosmini muore all'una di notte, del 1 luglio 1855, dopo una lunga e molto dolorosa agonia. Il mese di luglio è il mese dedicata al Preziossimo Sangue di Cristo, a cui il Rosmini era sempre stato devoto durante la sua vita.
Il Decreto Dimittantur del 1854, che vietava di muovere d'ora innanzi altre accuse alle dottrine rosminiane, con la speranza di instaurare, tra gli studiosi cattolici, quella pace e carità necessarie ad un sereno dibattito religioso e culturale, non ottenne lo scopo. Alla morte del Rosmini, le polemiche non cessarono. Anzi, si riaccesero in modo più ampio con la pubblicazione di alcune opere postume, tra cui la Teosofia.

Attorno al nome di Rosmini si venne così polarizzando, all'interno della Chiesa, la lotta sul modo da seguire per far fronte alle sfide della modernità.

Sui periodici e nell'editoria cattolica del tempo, sorse un'aspra lotta, piena di passione, che durò a lungo, e che va sotto il nome di questione rosminiana. L'essere pro o contro Rosmini non rimase una questione tra intellettuali in campo scientifico, ma divenne popolare: se ne parlava ovunque, nei conventi, nei seminari, nelle scuole, nelle canoniche. Tra gli avversari, il Rosmini veniva accusato di essere portatore di molte eresie, e di non essere fedele al pensiero di S. Tommaso, anche se nessuno osava mettere in discussione la sua vita di santità.

Quest'ultimi estrapolarono quaranta preposizioni, di carattere filosofico e teologico, in particolare da due opere postume del Rosmini (Teosofia e Introduzione al Vangelo di S. Giovanni), staccandole di fatto da tutto il contesto, per dimostrare che il suo pensiero era eretico e contrario agli insegnamenti della Chiesa. Il tutto sfociò in un intervento del Santo Ufficio, che va sotto il nome di Decreto Post Obitum (14 dicembre 1887), nel quale si dichiarava che le suddette quaranta preposizioni «non sembravano consone alla verità cattolica». Il documento sembrò segnare la definitiva vittoria degli avversari di Rosmini: fu un periodo molto difficile per l'Istituto della Carità, mentre i professori che insegnavano il pensiero di Rosmini vennero allontanati dalle cattedre.

Agli inizi del XX secolo, in un clima storico e culturale più sereno, si cominciò a vedere la questione rosminiana con meno passione e più obiettività. A rasserenare gli animi contribuirono alcune pubblicazioni, tra cui la poderosa Vita di Rosmini, stampata nel 1897, ma diffusa per prudenza a partire dal 1905, e la pubblicazione dell'Epistolario completo in tredici volumi (1887-1894), in cui emergevano tutte le doti naturali e  la santità di Rosmini.

Prima nell'ascetica, poi, via via, nella morale, nella pedagogia, nella politica, nel diritto e nella filosofia, le idee di Rosmini cominciarono ad essere viste per quello che effettivamente erano, delle stimolanti e a volte profetiche intuizioni. Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo I stimavano molto il Rosmini, di cui avevano letto alcuni scritti, e contribuirono al superamento della questione rosminiana. Nel 1966, su impulso di Michele Federico Sciacca, i Padri rosminiani fondarono, presso palazzo Bolongaro a Stresa, il Centro internazionale di Studi Rosminiani.

Giovanni Paolo II istituì una commissione, all'interno della Congregazione per la dottrina della fede, allo scopo di esaminare ancora una volta le quaranta preposizioni. Nel febbraio del 1994, al termine dei lavori della commissione, papa Wojtyla concesse la tanto auspicata apertura della causa di beatificazione di Rosmini.

Ma il maggior evento, che pose fine alla questione rosminiana e restituì integralmente il pensiero di Rosmini alla Chiesa fu la Nota, resa pubblica, per volere di Giovanni Paolo II, il 1 luglio 2001, anniversario della morte di Rosmini. Nel documento si legge:

«Si possono attualmente considerare ormai superati i motivi di preoccupazione e di difficoltà dottrinali e prudenziali, che hanno determinato la promulgazione del Decreto Post obitum di condanna delle “Quaranta Proposizioni” tratte dalle opere di Antonio Rosmini. E ciò a motivo del fatto che il senso delle proposizioni, così inteso e condannato dal medesimo Decreto, non appartiene in realtà all’autentica posizione di Rosmini [...]».

Antonio Rosmini è stato beatificato a Novara il 18 novembre 2007.
2023© Rovereto città di Antonio Rosmini
| STORIA | CULTURA | FEDE
Torna ai contenuti