Rosmini: la sorella Margherita - Rovereto città di A. Rosmini

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Rosmini, la vita: la sorella Margherita
Margherita Rosmini: testimone di una vita donata
«M’impose adunque di dire a Lei principalmente e poi ai membri di tutta la sua famiglia, compresa tutta la gente di servizio, che essa prima di partire da questo mondo “dimanda perdono di tutti i torti che potesse aver loro fatto, e di tutte le dispiacenze che potesse aver loro cagionato, e che obbliandole tutte per amor di Dio voglian render bene per male, e raccomandarla con efficaci orazioni nelle mani del Signore”. Rallegriamoci, signora Madre, perché con questi sentimenti la Giuseppina, che non ha fatto mai male a nessuno, non può morire, ma solo vivere in eterno».1) Così scrive Antonio Rosmini alla madre a tre giorni dalla morte della sorella, deceduta a Verona il 15 giugno 1833.

Gioseffa (Giuseppina) Margherita Teresa Cecilia Rosmini nasce a Rovereto l'11 settembre 1794: è la primogenita, l'unica femmina di quattro fratelli, a cui seguirà tre anni dopo Antonio. Con quest'ultimo, più che con il fratello Giuseppe, avrà, fin dall'infanzia, un legame molto profondo e un particolare affetto, determinato in gran parte da una comune spiritualità e predisposizione verso il sacro, che entrambi manifestarono fin da piccoli.2)
Margherita, come vedremo, non avrà nulla da invidiare al fratello Antonio in termini di realizzazione della propria vita in vista della santificazione personale: maturò la vocazione religiosa, entrando nell'Istituto delle Figlie della Carità, fondato da Maddalena di Canossa,3) raggiungendo a breve (muore a soli 38 anni) una profonda unione mistica con Dio, a cui si donò interamente, e una intensa carità verso il prossimo, soprattutto verso i più poveri.

In questa breve esposizione della vita di Margherita Rosmini, siamo partiti dalla fine, dal suo diremmo "testamento spirituale" lasciato al fratello in punto di morte, per far comprendere - per quanto sia possibile - la differente logica che muove il cristiano maturo rispetto a coloro che posseggono un'altra visione dell'esistenza. Come mai Margherita, con tutta la carità esercitata nella sua vita, ciò che lascia è un'umile richiesta di perdono e di preghiera? Questo non è solo di Margherita Rosmini4): chi legge la vita dei santi - ci piace chiamarli cristiani maturi nella fede - può vedere che tutti, pur con proprie modalità, si avvicinano alla morte con lo stesso atteggiamento. Il cristiano maturo nella fede è consapevole che l'amore (carità)  che lo attira verso Dio e verso  il prossimo non è opera sua, ma viene da Dio. E' grazie a Dio che riesce a compiere atti di carità, quindi non può esservi un vanto personale, la presunzione, che lo fa ritenere "bravo" o "buono", o, nel caso di chi crede ad una vita dopo la morte, la pretesa di essersi "guadagnato il paradiso", avendo fatto del bene. Alla fine della vita, c'è la consapevolezza dei peccati compiuti, della necessità di avere il perdono e la misericordia di Dio e il sapere che il bene compiuto è opera sua e non nostra.
Una donna colta...
Essendo nobile, Margherita poté studiare. Inoltre, fin da piccola, era stata sempre molto attrattatta dai buoni libri, che l'aiutassero a maturare e crescere spiritualmente. All'età di undici anni i genitori la mandarono nel Collegio delle Orsoline di Innsbruck, dove vi rimase per tre anni. Qui ebbe modo di apprendere il tedesco5) e il francese, oltre ad un po' di cultura generale e musicale e a molta informazione sul governo della casa e la sua amministrazione. Nel collegio, le ragazze si esercitavano anche in pregevoli lavori a mano e nella pratica della cucina.6)

Tra le sue letture preferite c'erano le Vite dei Santi: «Nello stato, che ho divisato d'abbracciare, come voi sapete, il mio Dio formerà la mia felicità cui per conoscere e per amare, spero per la sua santa grazia aver lume, ed aiuto dalla lettura»; e ancora: «Giorni sono che ho terminato di leggere le confessioni di S. Agostino. Queste le ho meditate e gustate assai, perché eccellenti per il mio gusto, racchiudendo in esse molte salutari istruzioni, oltre all'esservi il Santo espresso in una maniera piena di sacra unzione, stillando in esse quello ardor vivo che verso il suo Dio nutriva».7)
Gli inizi della vocazione religiosa...
Il primo sentore di una vocazione religiosa l'ebbe quando frequentava il Collegio delle Orsoline; così, terminati gli studi, a 14 anni, il padre la richiamò a casa per potersi  personalmente assicurare della situazione.
A Rovereto continuò la sua educazione con valenti ecclesiastici; era inoltre seguita, spiritualmente e culturalmente, dal fratello Antonio, che, sebbene più giovane, era già molto maturo e con una spiritualità assai elevata.
Ragazza colta e assennata, in questi anni Margherita si fa però attrarre da un eccessivo senso di mondanità, mettendo soverchia cura nell'eleganza degli abiti e nell'acconciatura dei capelli, come spesso accade alle adolescenti. Una fase che riesce a superare ben presto, essendo comunque in lei radicate le buone abitudini e le virtù.  A 17 anni  avverte la vocazione in modo più preciso, su consiglio di diversi direttori spirituali tenta di entrare nell'Istituto delle Dame Inglesi di Rovereto, ma non ci riesce.8)  
Nel 1818 così scrive al fratello Antonio: «I miei pensieri sono tutti intenti per scoprire la santa volontà di Dio, ed il sapere ch'Egli sarà il mio protettore per tutto il corso della mia vita cagiona in me gran tranquillità; la quale non vien perturbata che da qualche momento di tenebre che talora insorgono, o dalle ordinarie miserie in cui per mia sventura ricado, e che l'anima afflitta rendono, trovandosi in questa vita ancor abisso».9)

Nel frattempo si apre l'opportunità per Margherita Rosmini di costituire e gestire a Rovereto la Pia Casa delle Orfanelle. Il 1820 è un anno determinante, segnato anche da un grave lutto, la perdita, il 21 gennaio, del papà Pietro Modesto. Ormai Margherita è decisa a seguire la chiamata di Dio, sente che deve dedicare la sua vita al sostegno e all'evangelizzazione dei poveri, non solo a livello materiale ma anche morale.
La Pia Casa delle Orfane...
La Pia Casa delle Orfane nasce grazie al lascito di don Andrea Vannetti, appartenente ad una delle famglie più illustri di Rovereto, che nel suo testamento10) aveva lasciato quasi 15mila fiorini (cifra rilevante per l'epoca ma non sufficiente per realizzare il progetto) per la costruzione di un orfanatrofio femminile, affidando l'incarico e il patrimonio alla Confraternita della Carità.
Una volta soppresse le confraternite (1783)  ad opera dell'imperatore Giuseppe II, l'amministrazione del lascito passò alla Congregazione di Carità, che formulò lo Statuto dell'Orfanatrofio, affidando l'incarico di direttrice a Margherita Rosmini.

Poco prima di morire Pietro Modesto partecipa alla realizzazione dell'Orfanatrofio, concedendo a Margherita una casa in Borgo S. Caterina, sopra il Portone, presso il palazzo di famiglia, oltre a duecento fiorini per il mantenimento delle orfanelle.
L'Orfanatrofio - inaugurato il 1 settembre 1820 - prevedeva la presenza di una maestra, che insegnava alle bambine le conoscenze di base del sapere, la quale era istruita dalla stessa Margherita, che svolgeva gratuitamente il ruolo di direttrice. A volte la Rosmini insegnava lei direttamente alle fanciulle, che trattava come proprie figlie. Per essere di buon esempio, Margherita si presentava alle fanciulle in modo sobrio, vestita con abiti puliti ma semplici.
Al di là del pur necessario regolamento istituzionale, il clima che si era creato nell'Orfanatrofio tra Margherita Rosmini, altri adulti di riferimento e le ragazzine, che avevano tra gli otto e dieci anni, era quello di una famiglia. La finalità dell'istituzione era quella di educare cristianamente alcune delle più povere e abbandonate fanciulle della città, di istruirle, di insegnare loro un mestiere, oltre ai lavori domestici, affinché, una volta uscite, fossero in grado di provvedere da sè al proprio sostentamento. Ricevevano un'adeguata educazione anche nella cura del proprio aspetto esteriore: ci si assicurava che fossero pulite e modeste, ed avessero una buona alimentazione per crescere sane e robuste.
Gli spazi a disposizione permettevano l'accoglienza di cinque ragazzine solamente, a cui se ne aggiunse una sesta, per volere di Margherita, che accolse nella propria casa, mantenendola a proprie spese.
Per svolgere al meglio questa sua "missione" di educatrice, Margherita Rosmini studiò varie opere di pedagogia; fece tesoro di un testo che gli aveva appositamente scritto il fratello Antonio, Della Educazione cristiana; fu inoltre ospitata per un mese a Verona dalla marchesa Maddalena di Canossa nell'Istituto delle Figlie della Carità, da lei fondato, per apprendere il metodo da loro usato.11)
L'incontro con la Canossa e la nascita di un'amicizia...
Antonio Rosmini accompagnò la sorella a Verona il 24 febbraio 1820, dove al convento di S. Giuseppe conobbero la marchesa Maddalena di Canossa. Fu un incontro importante, dopo il quale i tre si legarono da profonda amicizia spirituale per tutta la vita. I tre "santi", guidati dallo Spirito di Dio, si compresero e stimarono fin da subito. In questo mese di "praticantato", Margherita scriverà  al fratello: «Io mi trovo ancor qui in una compagnia di Angiolette, quali sono queste figlie della Carità. Mi alzo all'ora che si alzano, mangio con esse mi ricreo con esse vado in coro quando ci vanno salvo l'una o l'altra volta per qualche accidente; non mi manca altro che il cooperar pure quanto esse fanno al bene dei prossimi, e poi godere più che il veder del mondo».12)
Nella stessa lettera, Margherita fa una descrizione di Maddalena di Canossa: «La marchesa sorpassa in santità quanto di essa mi immaginava quantunque fossi qui venuta con una buonissima prevenzione. E già sapete che di solito quando s'è troppo ben prevenuti o di una cosa o di una persona venuti sopra loco non cagiona grande ammirazione, ma essa m'ha fatto e mi fa ringraziar Dio ora e momento d'avermi fatta risolvere a far questo viaggio e in conseguenza d'avermi fatto conoscere un tal esemplare di santità. Ha un umor sempre uguale sempre ilare con tutti è dolcissima, ha una carità con tutti che sorprende e una umiltà profonda senza parlarvi delle altre virtù che possiede in sommo grado. Qua è da tutti adorata e per quanto mi si dice il medesimo avviene ovunque essa si reca, né si può far a meno. E se tanto amabile è una creatura che ne sarà del creatore?».13)
L'ingresso nelle Canossiane...
Margherita Rosmini, che aveva deciso di sostenere con i propri beni14)  la Canossa nell'apertura di una casa delle Figlie della Carità a Trento, avviò con la marchesa una fitta corrispondenza epistolare, che riguardava non solo l'apertura della nuova casa, ma anche la propria vocazione religiosa. Ormai si sentiva attratta dall'ordine religioso fondato dalla Canossa e decise di entrarvi.
Dal 1 settembre del 1820, per quattro anni, Margherita operò come direttrice presso la Casa delle Orfane di Rovereto, la cui responsabilità lasciò all'amica Francesca Sonna. Il 2 ottobre del 1824, entrò nel convento di S. Giuseppe a Verona, come novizia. Margherita non era strettamente tenuta alla prova del noviziato, ma volle farlo per non avere privilegi ed eserciare le virtù cristiane della carità e dell'umiltà.
Il 18 febbraio 1826, Margherita veste l'abito religioso, e, presumibilmente un anno dopo la vestizione (non si conosce la data), emette la professione religiosa.15)
Fonda la casa delle Canossiane a Trento...
Mentre faceva il noviziato, Margherita non era rimasta con le mani in mano, ma si era data molto da fare, assieme al fratello Antonio, per aprire una casa delle Figlie della Carità in Tirolo. Inizialmente avrebbe voluto l'opera nella sua città natale, che tanto amava, ma su suggerimento del fratello, su consiglio del vicario capitolare di Trento, mons. Carlo Emanuele dei Conti Sardagna, e su convinzione della stessa Maddalenna di Canossa, si preferì Trento.
Mons. Sardagna, che era molto amico di Antonio Rosmini, giocherà un ruolo rilevante nell'erezione della casa religiosa, di cui diventerà il primo padre spirituale. Margherita Rosmini è considerata la «fondatrice della casa di Trento ed insigne benefattrice dell'Istituto»16), poiché si adoperò molto per la sua fondazione, sia in termini di energie personali sia di mezzi economici, provvedendo anche al mantenimento in noviziato e alla dote di qualche consorella sprovveduta di mezzi.

L'imperatore Francesco I d'Austria concesse alla Canossa, per il suo progetto, l'ex convento dei frati minori di S. Francesco, subito fuori Porta Nuova, la cui chiesa venne intitolata all'Addolorata.
L'Istituto delle Canossiane di Trento viene inaugurato il 21 giugno 1828. Margherita Rosmini vi entra come superiora della nuova comunità. Riuscì, con grande impegno e diligenza, ad attuare tutti i ministeri di carità tipici del carisma canossiano: anzitutto i primi tre, detti perenni e continui, ovvero le scuole di carità, le catechesi, e l'assistenza ai malati. Erano rivolti in principal modo alle persone più bisognose ed indigenti, anche se non si escludeva nessuno a priori.

Fondò inoltre il Collegio di S. Massenza 17), in una casa vicino all'Istituto, a sostegno delle giovani abbandonate, illetterate, a rischio di condurre una vita di emarginazione sociale, miseria e sfruttamento, o di averla già intrapresa. Margherita dedicava tutta sè stessa alle giovani, con profondo spirito di umiltà e grande carità, senza risparmiarsi, convinta della necessità di promuovere la santificazione delle ragazze.  
Scrive il suo biografo: «Avendo saputo che una povera giovane conduceva una vita non buona, si adoperò per averla con sé; cercò di persuaderla con il migliore dei modi a più integri costumi, avvalorando le parole con preghiere e penitenze, coinvolgendo in questo anche le sue Figlie. Fece ogni sforzo per distorglierla dal male, ma tutto sembrava vano. Margherita non esitò allora a lasciare le novantanove percorelle nell'ovile per andare in cerca della smarrita18) e di uscire più volte a grandi tratti di strada fra nevi e ghiacci nelle ore peggiori. I patimenti affrontati per questa creatura che ostinatamente rifiutava di profittare delle sue cure caritatevoli e materne, furono molto probabilmente la causa della infermità che la portò prematuramente alla morte».19)

Margherita fondò anche la Congregazione delle Devote dell'Addolorata, un'associazione di nobildonne e ragazze, sinceramente desiderose di santificarsi, che si riunivano una volta al mese nel monastero per fare esercizi spirituali. Suor Margherita le riforniva di ottimi libri, che le aiutassero ad accrescere la loro pietà religiosa e prepararle per compiere opere caritative. Anche Antonio Rosmini predicò loro gli esercizi spirituali.
«La scuola nostra è assai numerosa, più ancora di quello che porterebbero le nostre forze»20), scriverà al fratello.

Le cronache dell'epoca e la biografia furono unanimi nel riconoscere il virtuoso operato di Margherita in tutti i settori dell'Istituto, in termini di carità, umiltà e dedizione.

Sia quando era a Rovereto sia nell'Istituto delle Figlie della Carità, la Rosmini visitava con assiduità le malate, ricoverate nel pubblico ospedale o in famiglia. Era sollecita verso di loro, faceva di tutto per alleviare le loro sofferenze sia fisiche che spirituali; le trattava con amore e diligenza e svolgeva per loro anche i lavori più umili e bassi.

Nel 1831 ci fu un'epidemia di vaiolo nero, Margherita Rosmini pensò che quella potesse essere un'occasione che le stava dando il Signore per morire martire della carità. I magistrati di Trento pensavano di istituire un lazzaretto e di reperire persone che assistessero i malati. Margherita, dopo aver offerto la propria vita a Dio, valutava di strasformare il convento in lazzaretto. La frenò solo l'obbedienza, poiché Maddalena di Canossa, pur ammirando il suo fervore caritativo, non l'autorizzò nel progetto.
Margherita, come del resto il fratello Antonio, hanno avuto molti doni, oltre che di carattere spirituale, anche di ordine temporale, tra cui, non da poco, una sana famiglia alle spalle che ha saputo educarli umanamente e cristianamente. E questo è, senza dubbio, un grosso vantaggio nel percorso di santificazione personale. Ciò non toglie che anche Margherita avesse dovuto correggere qualche difetto, di cui nessuno è privo nemmeno il migliore degli esseri umani: «Non proprio dolcissima di carattere, occorre ispirarle uno spirito di dolcezza che la perfezionerà»,21) scriverà Maddalena di Canossa.

Nella casa di Trento dell'Istituto delle Figlie della Carità, Margherita Rosmini operò solo quattro anni, colpita da malattia polmonare, dovuta probabilmente, come riportato sopra, ad aver pensato prima alla giovane smarrita che a sé stessa, mettendosi più volte a cercarla in periodi molto freddi, muore il 15 giugno 1833. Si trovava nella casa generalizia di Verona, dove era stata portata, nella speranza che potesse riprendersi. Il fratello Antonio fece pregare per la sua guarigione, ma lei spirò serenamente, accettando il volere di Dio, qualunque fosse stato.22)

Margherita Rosmini rimane nella storia un bell'esempio di donna realizzata nell'amore, non perché contò sulle sue forze e capacità, ma perché contò su Dio. L'atteggiamento di umiltà che il cristiano è chiamato a tenere, nei confronti di Dio e del prossimo, non è per "il gusto masochista di disprezzarsi", ma è il contrario: è riconoscere una verità di fondo, cioè che l'essere umano è una creatura e non Dio, ma che con l'aiuto di Dio può diventare "grande nell'amore".
Sentimenti di gratitudine...
lettera al fratello Antonio
«Troppo lieto argomento mi somministrano le sante feste pasquali, perché io voglia passarle senza inviarvi, mio carissimo fratello, i miei buoni auguri. L'aria è mite, l'acqua zampilla e scorre placida nelle fonti, gli alberi si rivestono di nuove spoglie, i prati si ricoprono di molli erbette e di vaghi fiorellini, e la natura tutta insomma sorride, quasi sentisse il giubilo grandissimo, che deve provare ogni cuore per la gloriosissima risurrezione del nostro divino Salvatore. A questo gaio spettacolo della terra, che la provvidenza ci appresta ogni anno, e specialmente al rammentarci le pene e il trionfo dell'Uomo-Dio, quai sentimenti di gratitudine debbono essere i nostri verso un tanto Benefattore! Io adunque desidero e imploro voi, mio carissimo fratello, dal cielo che il Signore penetri vivamente l'animo vostro di riconoscenza, per modo che vi liquefacciate d'amore, qual cera che viene consumata ad onore di sua divina Maestà. Voi siatemi cordiale, e rendetemente il contraccambio, che così avremo tutti e due la bella sorte di partecipare dei dolcissimi effetti della risurrezione di Gesù Cristo».23)
Margherita oggi...
Quanto ha costruito Margherita Rosmini non è finito nel vuoto: oggi l'Istituto Canossiano di Trento è il Centro Moda Canossa, scuola professionale all'avanguardia, che forma le studentesse nel mondo della moda, tenendo ancora conto del Metodo Canossiano, basato sul «principio fondamentale dell'educazione vista come un mezzo per poter trasmettere valori e costruire una coscienza morale».24)

Cosa ne pensate?
La vita di Margherita Rosmini, che abbiamo qui brevemente presentato, parla da sè: ma qualcuno potrebbe pensare che siano cose del passato. E' proprio vero?

Cogliamo due aspetti, tra i tanti che ci possono essere:

1) Nessuno di noi vive bene il presente, cancellando il proprio passato, con esso dobbiamo fare sempre i conti, nolenti o volenti, per comprenderci meglio e per sapere dove vogliamo andare. Questo è vero per i singoli individui ma anche per le società.
Molte cose belle di cui possiamo usufruire oggi in Italia (e in Europa) ci vengono dal passato, dalle radici cristiane, che hanno formato l'Europa, e che sono ignorate dalle nuove generazioni.
Sono ignorate perché non vengono loro trasmesse, o vengono trasmesse in forma distorta, piena di pregiudizi. Conoscere il proprio passato deve far nascere un senso di gratitudine per chi ci ha preceduti, per ciò che di bello ci ha lasciato, e spingerci a fare altrettanto per le nuove generazioni. Ma questo lo si può fare solo nell'ambito di una visione della vita che prenda in considerazione uno sbocco "ultramondano" dell'esistenza. I progetti infatti circoscritti alla sola vita terrena finiscono per farci ripiegare in noi stessi, nel nostro egocentrismo, nel nostro interesse personale. E' molto difficile che siano progetti di amore, di apertura agli altri.

2) Il desiderio di ricchezza ha sempre attirato l'essere umano, in passato come oggi. Margherita aveva tutto per "godersi la vita", come diremmo oggi. Eppure ha saputo rinunciare a ciò per avere qualcosa di meglio. Rinunciare a ciò non l'ha resta infelice, ma felice: come mai?
Perché l'essere umano è stato creato da Dio per la felicità, ma la felicità la si ottiene solo con l'amore: sentirsi amati ed amare è l'unica cosa che ci rende veramente felici.

Molti giovani oggi pensano - per lo più perché sono stati educati a ciò - che la felicità stia nell'avere ogni cosa ed ogni piacere che passa per la testa. Ma ciò non è vero.
Margherita Rosmini, ritratto.
Quella viva fiamma di carità...
Margherita Rosmini



«Carissimo Fratello,
Avvicinandosi le sante feste della Pentecoste supplico il divino Spirito ad infondere nei nostri cuori quella viva fiamma di carità, che produsse sì prodigiosi effetti nel collegio apostolico, affinché dietro il loro esempio e a seconda della nostra vocazione possiamo operare nella vigna del Signore con tutto quel zelo di cui siamo capaci, onde accrescere il numero dei felici abitatori della celeste Gerusalemme».

Lettera al fratello Antonio,
Verona 30 aprile 1826.

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«Debbo far fine [a questa lettera], lasciandovi sul monte degli amanti a contemplare il crocifisso».

Lettera al fratello Antonio,
Verona 21 maggio 1828.

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L'uomo, cooperatore di Dio: ma come?
Antonio Rosmini



«L’uomo non può che ferire gli orecchi sterilmente, ma Iddio muta il cuore. Noi siamo adunque in questo fatto non solo formiche, come voi dite, ma assai di meno. E tuttavia è una grazia infinita, e che tutta esige la nostra gratitudine anche questa, che Iddio si degni di accompagnare le nostre inutili fatiche al di fuori dell’uomo colla sua segreta operazione al di dentro. In tal modo egli si compiace di fare che l’uomo si possa dire cooperatore del suo divin Figlio, che è la massima, e perciò la più umiliante dignità che l’uomo possa pensare. Dico, la più umiliante, pensando da chi la riceve; sotto cui si debbe umiliare, non solo per la propria nullità, ma di nuovo per la gratitudine».

Lettera alla sorella Margherita,
Milano 4 gennaio 1827.
Molte cose a questo mondo sono buone, ma desiderarle  in continuazione, ritenendo che siano la fonte delle felicità, fa sì che ci concentriamo esclusivamente su noi stessi: "Io ho bisogno di...", "Io voglio quello...", "A me servono soldi per comperare questo... perché anche i miei amici ce l'hanno", "Tutti ce l'hanno... non posso farne a meno". Se non si ottiene ciò che si vuole, nasce frustrazione, o peggio, gelosia ed invidia verso gli altri. O quando si ottiene, si desidera primeggiare, mostrarlo agli altri per suscitare invidia, rivalità, sentirsi i migliori, i più grandi, i più belli. Ma il passo dall'invidia all'odio è breve. In tutto questo non c'è felicità, c'è guerra.

L'amore porta invece a distorgliersi dal proprio "io", ad accorgersi che ci sono anche gli altri, che magari hanno bisogno di qualcosa e poterli così aiutare; magari a scoprire che è più bello guardarsi con sincerità negli occhi, condividendo insieme una pizza, e far nascere un'amicizia, che guardarsi storto perché il "mio smathphone è di ultima generazione e il tuo no, o viceversa".
Note:

1) ROSMINI ANTONIO, Epistolario completo, IV, Lettera 1983, Trento 18 giugno 1833, [a Giovanna Rosmini Serbati a Rovereto]. Rosmini all'epoca si trovava a Trento perché aveva aperto da circa due anni una casa dell'Istituto della Carità fondato da lui a Domodossola, casa che a breve sarà chiusa su pressione dell'Impero austriaco.
2) Uno dei giochi preferiti che faceva con Antonio in giardino era quello dell'eremita, che consisteva nel ritirarsi in qualche angolo per pregare o per leggere pagine di vita monastica. [CRESPI-TRANQUILLINI VIRGINIA, Gioseffa Margherita Rosmini: una vita esemplare, in AA.VV., MARGHERITA ROSMINI, Un'educatrice e religiosa roveretana nell'età della Restaurazione, Biblioteca rosminiana, Stamp. La Grafica di Mori (TN), 2006, pp. 11-12].
3) Maddalena di Canossa (1774-1835) nasce a Verona da nobile famiglia. Dopo aver tentato invano l'esperienza del Carmelo, si sente chiamata da Dio a fondare un ordine religioso che servisse i più bisognosi. Parte dal quartiere più povero di Verona, dove la Rivoluzione francese e l'alternanza di dominazioni imperiali straniere avevano lasciato sul lastrico molte persone, poveri affamati di pane, istruzione e comprensione. Fonda così l'Istituto delle Figlie della Carità (conosciute come Canossiane), in prevalenza femminile, che otterrà l'approvazione ecclesiastica tra il 1819 e il 1820. La parte maschile nascerà nel 1831.  L'Istituto si occupava di istruzione, nell'ambito di un progetto che prende in considerazione l'integrità della persona, delle catechesi rivolte a tutte le categorie e dell'assistenza alle inferme negli ospedali. Con Antonio Rosmini ebbe un grande rapporto di amicizia, entrambi si stimavano molto. Viene canonizzata da Giovanni Paolo II nel 1988. [Vedi: Maddalena di Canossa, vergine fondatrice della Famiglia Canossiana Figli e Figlie della Carità, in www.vatican.va].
4) Anche Antonio Rosmini morirà con lo stesso atteggiamento: «Nessuno è necessario a Dio, le opere che Egli ha cominciate, Egli le finirà con quei mezzi che ha nelle mani, [...]. Quanto a me sono del tutto inutile, temo anzi essere dannoso; e questo timore, non solo mi fa essere rassegnato alla morte, ma me la fa desiderare», risponde Antonio Rosmini, sul letto di morte, all'amico Alessandro Manzoni, che aveva espresso all'infermo il desiderio che Dio lo guarisse affinché avesse potuto portare a termine tante belle opere cominciate. «Ah! per amor del cielo, non dica questo: che faremo noi?», ribatte sgomento il Manzoni alle affermazioni di Antonio. E il moribondo risponde: «Adorare, tacere, godere».
5) Era lei ad insegnare al fratello Antonio il tedesco.
6) CRESPI-TRANQUILLINI V., op. cit., 2006, p. 13.
7) ROSMINI MARGHERITA, Lettera al fratello Antonio a Padova, Rovereto 12 febbraio 1817; Lettera al fratello Antonio a Padova, Rovereto 5 giugno 1818, in AA.VV., MARGHERITA ROSMINI, Un'educatrice e religiosa roveretana nell'età della Restaurazione, op. cit., pp. 123, 124.
8) CRESPI-TRANQUILLINI VIRGINIA, Gioseffa Margherita Rosmini: una vita esemplare; MENEGOT PAOLO, Appunti per un'analisi psicologica della personalità di Gioseffa Margherita Rosmini; CATERINA suor GERANEO, I fratelli Margherita e Antonio Rosmini, il loro incontro con Maddalena di Canossa e la fondazione dell'Istituto delle Figlie della Carità a Trento,  in AA.VV., MARGHERITA ROSMINI, Un'educatrice e religiosa roveretana nell'età della Restaurazione, op. cit., pp. 13-14, 22, 34. Vedi anche PUECHER FRANCESCO, Vita di suor Gioseffa Margherita Rosmini fondatrice e prima superiora della Casa delle Figlie della Carità di Trento, Libreria Pogliani, Milano 1881, pp. 19-21, 23, 28.
9) ROSMINI M., Lettera al fratello Antonio a Padova, Rovereto 5 giugno 1818, in AA.VV., MARGHERITA ROSMINI, Un'educatrice e religiosa roveretana nell'età della Restaurazione (appendice documentaria), op. cit., p. 125.
10) Il testamento data 13 settembre 1749. Secondo il Puecher il fatto che fosse trascorso molto tempo tra il lascito del Vannetti e la realizzazione dell'Orfanatrofio dipendeva dalla scarsità della cifra. PUECHER F., op. cit., p. 42.
11) SCUOLA MEDIA "D. CHIESA" di Rovereto, Classe II A (a. scol. 2004-2005), Margherita Rosmini: profilo biografico & Margherita Rosmini, direttrice della Pia Casa delle Cinque Orfane di Rovereto, in AA.VV., MARGHERITA ROSMINI, Un'educatrice e religiosa roveretana nell'età della Restaurazione, op. cit., pp. 61-68. Vedi anche PUECHER F., op. cit., pp. 42-47, 52-56.
12) ROSMINI MARGHERITA, Lettera al fratello Antonio a Rovereto, Verona 1 marzo 1820, in AA.VV., MARGHERITA ROSMINI, Un'educatrice e religiosa roveretana nell'età della Restaurazione, op. cit., p. 125.
13) Ivi, p. 126.
14) Aveva ricevuto da poco l'eredità paterna.
15) GERANEO SR C., I fratelli Margherita e Antonio Rosmini..., op. cit., in AA.VV., MARGHERITA ROSMINI, Un'educatrice e religiosa roveretana nell'età della Restaurazione, op. cit., pp. 41-45. Vedi anche PUECHER F., op. cit., pp. 71-73.
16) Ivi, p. 44.
17) S. Massenza é la madre di S. Vigilio, vescovo e patrono di Trento.
18) Qui si riferisce alla parabola raccontata da Gesù: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione». (Luca 15, 4-7).
19) GERANEO SR C., I fratelli Margherita e Antonio Rosmini..., op. cit., in AA.VV., MARGHERITA ROSMINI, Un'educatrice e religiosa roveretana nell'età della Restaurazione, op. cit., p. 48. Vedi anche PUECHER F., op. cit., pp. 113-114.
20) ROSMINI MARGHERITA, Lettera al fratello Antonio a Roma, Trento 5 dicembre 1829, in AA.VV., MARGHERITA ROSMINI, Un'educatrice e religiosa roveretana nell'età della Restaurazione (appendice documentaria), op. cit., p. 139.
21) Maddalena di Canossa, in SCREMIN ASSUNTA, Teologia e ascesi nell'epistolario tra Antonio Rosmini, la sorella Margherita e Maddalena di Canossa, tesi di Magistero in Scienze Religiose-Istituto di Scienze religiose di Trento, Trento a. acc. 1996-1997.
22) MENEGOT P., Appunti..., op. cit.; GERANEO SR C., I Fratelli Margherita e Antonio Rosmini..., op. cit.; CENTRO FORMAZIONE PROFESSIONALE CANOSSA di Trento, Classe II A (a. scol. 2004-2005), L'Istituto delle Figlie della Carità di Trento, in AA.VV., MARGHERITA ROSMINI, Un'educatrice e religiosa roveretana nell'età della Restaurazione, op. cit., pp. 24, 28,  41, 44, 47, 48, 49, 74, 75, 76, 77. Vedi anche PUECHER F., op. cit., pp. 57, 102-116, 139-158.
23) ROSMINI M., Lettera al fratello Antonio, 3 aprile 1827, in PUECHER F., op. cit., p. 92-93.
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