Rosmini e Rovereto - Rovereto città di A. Rosmini

...tra storia, cultura e fede

Vai ai contenuti
Rovereto, città natale di Antonio Rosmini (1797-1855)
Oggi Rovereto - chiamata anche Città della Quercia - è una città di circa 40mila abitanti, capoluogo della Vallagarina, a sud del Trentino. Nello stemma cittadino è riportata una quercia: pare, infatti,  che il nome derivi da Roboretum, ossia querceto, pianta molto diffusa in zona.
Culturalmente vivace per tradizione, Rovereto è il frutto di una storia particolare, che l'ha vista ai confini dell'Impero Austroungarico fino al termine della prima guerra mondiale, per secoli luogo privilegiato di contatto, ma anche sofferente, tra la cultura tedesca e quella italiana. Dal 1416 al 1509, Rovereto si è trovata sotto il dominio della Repubblica di Venezia, dalla quale ha appreso una prima conoscenza dell'arte serica, che verrà introdotta da Girolamo Savioli nel 1534, attività che porterà grande beneficio alla città nei secoli a venire. Nel XVIII secolo, la Città della Quercia sarà molto famosa in Europa per la produzione della seta.
Chi è Antonio Rosmini?

Qui, nel 1797, vede i natali Antonio Rosmini-Serbati, sacerdote, filosofo e pensatore, una delle menti più illuminate dell'Ottocento. Proclamato Beato dalla Chiesa cattolica nel 2007.  

Nasce nel palazzo di Famiglia, ora Casa natale Rosmini, il 24 marzo, da Giovanna Formenti di Biacesa e Pietro Modesto Rosmini. Si tratta di una delle famiglie più ricche della città, forse la più ricca, che sa gestire il denaro con abilità imprenditoriale ed avvedutezza, non dimenticando però  il sostegno ai poveri. Il piccolo Antonio cresce in un contesto sereno, dove apprende le virtù umane e cristiane.  I genitori, soprattutto la mamma, sono profondamente credenti. Giovanna Formenti si prende personalmente cura dei figli, favorendo in loro il senso della giustizia, intesa anzitutto come amore verso il prossimo (“chi ha deve dare a chi non ha”, insegnamento che Antonio farà suo sin da piccolino); come rispetto della famiglia; e della pietà religiosa, intesa come obbedienza filiale ai comandamenti di Dio, in risposta al Suo Amore.  

CONFERENZE PUBBLICHE
a Casa natale Rosmini
in Sala degli Specchi




  Non solo filosofia...
Non ci si faccia spaventare dai titoli che lo qualificano. Infatti, il grande pensatore roveretano è una figura accostabile anche dalle persone semplici, che nulla sanno di filosofia. Piace infatti per la sua semplicità e affabilità verso tutti: lui, nobile, si relazionava con chiunque con il massimo rispetto ed amore, non guardava nessuno dall'alto in basso. Sentiva il desiderio di beneficare tutti: rispettava anche i “nemici”, di cui mai parlava male e non voleva sentir parlare male. Piace per la sua costante ricerca della verità, senza compromessi,  partendo dalla ragione.  Piace per il suo amore alla Chiesa, di cui era figlio devoto, sempre, anche quando le cose non funzionavano. Piace per il suo modo intelligente di attuare la carità e per il suo forte senso dell'amicizia. Piace per la sua profondissima e, più che convinta, fede.
Se certamente Antonio Rosmini, potremmo dire, è il più “bel frutto” della Quercia, non ancora sufficientemente conosciuto, come meriterebbe, non possiamo però ignorare il contesto più ampio che l'ha accolto. Città cattolica in passato, anche Rovereto, come il resto d'Italia, ha smarrito le proprie radici cristiane, senza le quali, però,  non è possibile affrontare serenamente e con convinzione il futuro, condizionato ormai per tutti  dagli avvenimenti globali.

Ma la differenza tra noi e i roveretani del passato (potremmo, forse, dire fino alla prima metà del Novecento?) non sta nel fatto che i nostri avi fossero moralmente migliori o peggiori di noi, più buoni o più cattivi, ma nel fatto che vivevano in un contesto sociale, culturale e religioso che permetteva loro di essere più consapevoli di qual è l'obiettivo della vita, e di agire conseguentemente, tenendo conto  dell'ordine naturale e soprannaturale della carità. Visione oggi quasi eclissata, almeno nella maggioranza delle persone. Non solo, ma di fronte al peccato (male), che pure commettevano, sapevano in genere che tale era, mentre oggi si registra una spiccata tendenza a voler giustificare il male o a farlo passare per bene.
Staccati da Dio – come tralci secchi dalla vite – abbiamo perso l'orientamento e spesso non sappiamo più distinguere tra  il male e il bene.
Fede e ragione non sono in contrasto...
Rosmini si è fatto guidare, nell'intero arco della sua vita, non lunghissima (muore a 58 anni), dalla Verità, ricercandola sempre con profonda convinzione, sia nei molteplici studi compiuti sia nelle numerossisime opere di carità. Verità, che è anzitutto Dio, ma anche la verità presente in ciascuno uomo, e che va perseguita  con la luce della ragione. Per Rosmini fede e ragione non sono in contrasto, ma la ragione non va messa al posto di Dio.  La ragione, idolatrata dall'Illuminismo in poi, ha fatto smarrire all'essere umano la sua via, non ha certo portato più amore e pace tra gli uomini, anzi li ha confusi, facendo loro credere che la verità non esiste, che tutto è verità o che ognuno ha la propria verità. Ma come possono  essere vere una cosa e il suo contrario? Come possono essere giuste una determinata azione morale ed il suo contrario? Come si può affermare che “non esiste una verità assoluta perché la verità è soggettiva”, quando, nell'affermare ciò, già si afferma una verità, negativa, ma pur sempre verità?  E' forse questo logico e razionale?
Ma quale carità?
Le nuove generazioni sono chiamate a divenire consapevoli che le varie forme di volontariato che oggi – in modo senza dubbio encomiabile –  vengono svolte  nella nostra società hanno la loro radice nella cultura cristiana e cattolica. Non è scontato che si trovino ovunque.  
Ma, senza voler giudicare le singole intenzioni, cambiano le motivazioni di fondo.  La carità cristiana  è una carità che si estende a tutto il prossimo, indifferentemente, uomo o donna, giovane o vecchio, nascituro o morente, di qualsiasi razza, cultura e religione,  anche verso i “nemici”, non fa distinzione di persone, perché tutti portano in sé l'immagine divina.
Inoltre non si tratta della nostra "povera" carità (quanto poco siamo capaci di amare noi uomini!) ma della carità che Dio riversa nei nostri cuori, attraverso il Figlio, Gesù Cristo. Per questo il cristiano maturo nella fede – lo faceva il Rosmini, come lo faceva Madre Teresa di Calcutta, come lo faceva S. Giovanni Paolo II, come lo hanno sempre fatto tutti i cristiani maturi nella fede  – prega prima di agire.  
L'emblema è quello della parabola del Buon Samaritano (Luca 10, 25-37), che non esita a fermarsi per soccorrere un ferito in terra, vittima di un'aggressione, nel percorso da Gerusalemme a Gerico. Il Samaritano si prende cura di un “nemico”, perché i samaritani non andavano d'accordo con i giudei. Non solo. Egli interrompe il proprio viaggio, forse  di affari, per fermarsi a soccorrere l'uomo. La Chiesa inoltre vede nel Buon Samaritano la figura di Cristo che si fa prossimo ad ogni uomo.
L'origine del volontariato...
Rosmini condivideva con la sorella Margherita la sua sete di amore a Dio e al prossimo, concretizzata anzitutto con la vocazione al sacerdozio. Entrata nelle Suore Canossiane, fondate da santa Maddalena di Canossa (Verona), Margherita è pure una bella figura di donna, che ha saputo spendere la sua vita per gli altri. Ma non solo. Diverse figure nobiliare vivevano quella maturità evangelica, che le portava a vedere nel prossimo il Cristo sofferente, a spendere tempo e  ricchezze per far fronte ai bisogni dei più poveri. La religione cristiana non condanna la ricchezza in sé, ma il cattivo utilizzo che se ne fa: oggi si idolatrano il denaro, il successo, il potere, il piacere dei vizi, tutte cose incentrate sul proprio egoismo: ma siamo felici?

«Il nostro Dio è Dio di verità, il Maestro nostro
è la verità in persona.
Ma purtroppo nel mondo si ama poco la verità,
e perciò poco si ama Dio».

Beato Antonio Rosmini
L'amata Rovereto...
La fede in Cristo è più logica e razionale di quello che pensiamo, e, soprattutto, è Cristo ad aver portato nel mondo l'amore. Rosmini amava firmarsi “prete roveretano”, nonostante i contrasti avuti in patria, perseguitato più dalle autorità che dal popolo, che lo amava moltissimo. Partito  alla volta di Milano e, poi, in Piemonte, sua seconda patria, qui fonda l'Istituto (Società) della Carità e le Suore della Provvidenza. Non smise però mai di beneficare i suoi concittadini. Tramite contatti epistolari, si interessò sempre a quanto accadeva nella sua amata Rovereto dei bisogni che gli si facevano presenti, cercando di provvedere. Quali bisogni?
Le tre forme della carità...
Secondo il millenario insegnamento della Chiesa, di cui si fa interprete anche il Rosmini, l'uomo non è un animale, costituito di solo corpo, ma è dotato di intelligenza (caratteristica che lo distingue dall'animale) e di anima spirituale, infusa da Dio nel corpo al momento del concepimento. Dunque i bisogni dell'essere umano sono anzitutto spirituali: la salvezza dell'anima viene al primo posto, poiché la vita in terra non è eterna. Dopo la morte non c'è il nulla – come spesso si ritiene oggi – ma c'è un giudizio divino, a cui ogni uomo è chiamato a sottoporsi e che richiede un senso di responsabilità: come sono vissuto?; il bene e il male che ho fatto nella mia vita possono essere messi sullo stesso piano?  
V'è poi una carità intellettuale: ai giovani vanno insegnati la verità e il bene morale, per poter diventare giusti, equilibrati e, anche, buoni cittadini. Infine la carità materiale, nelle sue molteplici forme di sostegno alla salute e al benessere del corpo. Il Rosmini le esercitava tutte e tre insieme, nell'ordine stabilito, e mai le separava.
Centro pastorale Beata Giovanna, meridiana.
A tal fine le confraternite esercitavano la carità spirituale, intellettuale e materiale anzitutto nei confronti dei propri aderenti, e poi, se e quando potevano, del resto della cittadinanza. Erano delle associazioni molto importanti in un contesto sociale che non prevedeva, come oggi, l'assistenza sanitaria pubblica. La Confraternita dei Santi Rocco e Sebastiano, ad esempio, aveva fondato la chiesa (1689) della Beata Vergine di Loreto e l'omonimo ospedale (1713). Entrambi furono rifatti non molto tempo dopo. Attualmente la chiesa di Loreto è tenuta dai Padri Rosminiani. I confratelli vi assistevano i poveri ammalati, dopo aver celebrato l'eucarestia e pregato nella loro chiesa di Loreto, cioè dopo aver attinto la forza e l'amore da Dio per portarlo ai malati, secondo quanto richiedeva il loro statuto.

L'ospedale fondato dalla confraternita, in quella struttura visibile ancor oggi, tra la chiesa di Loreto e Casa natale Rosmini, è stato nosocomio cittadino fino al 1889, prima dell'attuale. Il vasto terreno su cui è stato costruito l'attuale ospedale (la parte più vecchia) di Santa Maria del Carmine apparteneva ad Antonio Rosmini e fu concesso in permuta dai Padri Rosminiani, in cambio  dell'edificio dell'ex ospedale di Loreto, con uno scambio risultato vantaggioso per la cittadinanza.   
Ancor ragazzino, Antonio Rosmini era affiliato alla Confraternita del Santissimo Sacramento, che possedeva la chiesa del Redentore, in via della Terra, oggi chiusa.  

A Rovereto esistevano quattro grosse confraternite, composte da centinaia di membri,  di ambo i sessi, nobili, classi agiate e poveri, insieme. Possedevano un loro luogo di culto e provvedevano alle necessità spirituali, intellettuali e materiali delle persone. Sono pressoché sconosciute, se non agli studiosi, anche perché, a differenza di altre parti d'Italia, in Diocesi di Trento le confraternite sono scomparse.
Ma cosa sono le confraternite? Sono associazioni, composte in prevalenza da “laici” (cioè fedeli sposati o comunque che vivono nel mondo),  ma vi potevano far parte anche religiosi e sacerdoti, il cui scopo principale era la santificazione dei singoli membri.
  
Cosa vuol dire santificarsi? Diciamo che santificarsi significa consentire a Dio di “risanare” spiritualmente l'essere umano, ferito dal male, dal peccato e dalla morte, facendolo ritornare in grazia, e permettendogli così di vivere nell'amore verso Dio e il prossimo.
Il coraggio di dare la vita...
Ci sono due straordinarie testimonianze storiche a Rovereto di persone che hanno saputo dare la loro vita in occasione della peste “manzoniana”  (1630), che decimò un terzo della popolazione. A ventissette anni, Bernardina Floriani, la futura Giovanna Maria della Croce –  venerabile, popolarmente detta beata - ottenne il permesso, eccezionale, di assistere i moribondi, portando loro gli ultimi conforti.  Ma non morì, Dio aveva per lei altri progetti. Nel 1650, infatti, fonderà, dopo numerose  difficoltà, il monastero dedicato a S. Carlo Borromeo, di cui oggi rimane la chiesetta.  
Mentre nel 1638, viene fatto costruire dalla popolazione il convento francescano di S. Rocco – oggi Liceo internazionale Arcivescovile (LIA) -  con l'omonima chiesa, in corso Bettini, in segno di ringraziamento per l'opera di sostegno spirituale, portando loro i sacramenti, compiuta tra gli appestati da due frati minori, di cui uno, p. Bernardino (Graziadei) da Trento, ci rimise la vita. Il compagno, p. Maccario da Venezia, contagiato dal morbo, guarì. In una società permeata dai valori cristiani si è disposti anche a dare la vita, pur di salvare l'anima delle persone, perché si è consapevoli che non termina tutto con la morte terrena.
Le chiese: opere d'arte per meditare...
I membri delle confraternite, ma lo stesso dicasi degli ordini religiosi nei conventi, e del popolo in generale, vivevano la vita terrena con la prospettiva dell'eternità, cosa che oggi, salvo un'esigua minoranza, è venuta meno. Sapevano che l'amore era l'unica cosa che rimaneva loro, al momento del trapasso dell'anima. Erano consapevoli che al termine della loro vita c'era un giudizio di misericordia, ma anche di giustizia, a cui sottoporsi, prima di essere accolti alla visione beatifica di Dio. Sapevano di dover purgare l'anima dai peccati veniali in purgatorio, se non riuscivano a farlo durante la vita terrena. Da qui la costruzione di meravigliose chiese, che con la bellezza dell'arte elevavano l'anima a Dio e aiutavano a meditare sulla vita dopo la morte. Le chiese di Rovereto e dei dintorni, pur nelle loro piccole dimensioni, sono dei veri e propri gioielli, ricchi di storia e d'arte, qui poco conosciute, ma molto apprezzate dai turisti.  
Ma le chiese non sono musei. Sono dei luoghi di culto, dove ogni aspetto, ogni pala d'altare, il colore del marmo, ogni stucco, ogni oggetto, non è posto a caso, ma contiene in sé un valore simbolico che riflette la grande fede di chi le ha costruite. I marmi bianchi e neri dei stupendi  altari della chiesa di Santa Maria del Suffragio, ad esempio, richiamano la morte (nero) e la resurrezione (bianco). Il doloroso passaggio della morte, ma che non è la fine di tutto, essendo seguito dalla gioia di una vita eterna.  L'elegante chiesa tardo-barocca del Suffragio è pure opera dell'omonima confraternita, nata nel 1735 per suffragare le anime del Purgatorio. Gli arcipreti di S. Marco, tra cui il Rosmini, si servivano della preziosa opera dei confratelli per l'insegnamento della dottrina cristiana (catechesi), e per l'assistenza ai poveri, sempre molto numerosi.
Figura straordinaria quella della Venerabile Giovanna Maria della Croce (1603-1673), mistica, consigliera di potenti, che per molti aspetti ricorda quella di  S. Caterina da Siena. A differenza di questa, rimasta in ombra. Rosmini la stimava moltissimo, tanto che quando propose di donare alla città un'ingente somma di denaro per costituire un Fondo di riproduzione perpetua, con il quale realizzare diversi progetti di carità materiale, intellettuale e spirituale in favore dei roveretani, tra le opere di carità spirituale, stabilite dal donatore, c'era anche quella di riprendere la causa di  beatificazione di Bernardina Floriani, rimasta ferma.  A molti potrebbe apparire cosa inutile. Ma la testimonianza di un “santo” - potremmo dire un “cristiano maturo nella fede”?  – irradia luce attorno, e dimostra l'esistenza di quel Dio che fa tutto per Amore.
Rovereto, panorama
Quale futuro?
Diversa concezione della vita, dicevamo, ma che permette di progettare con più ampie vedute il futuro: la visione “alta” di un Dio che un giorno accoglierà me, nel Suo Cielo, come accoglierà, dopo di me, figli, nipoti e pronipoti, oltre ad essere di grande consolazione (“vivrò per sempre”), favorisce lo sviluppo di un mondo più giusto, che tiene conto delle generazioni future. Se tutto infatti finisce con me, perché il mondo deve continuare ad esistere? Perché non sfruttare tutto e subito? Che senso ha pensare ai pronipoti, che forse mai conoscerò, se io sparirò nel nulla? E perché mettere al mondo figli? L'odierna visione nichilista della società porta al suicidio dei singoli e dell'intera collettività, come sempre più spesso vediamo nella cronaca.
 
L'essere umano, creato per l'amore, pensa al suicidio quando non si sente amato; chi tra noi ha fatto la bella esperienza di sentirsi amato e accolto, non pensa al suicidio, nemmeno se ha un handicap fisico o se è gravemente malato. Ma l'amore viene da Dio, tolto Dio è tolto l'Amore. Antonio Rosmini si è sentito amato da quel Dio, nelle cui mani ha abbandonato totalmente sé stesso,  lasciandosi plasmare come molle cera, e da piccolo si è sentito amato in famiglia, per questo ha potuto fare cose davvero grandi.
2023© Rovereto città di Antonio Rosmini
| STORIA | CULTURA | FEDE
Torna ai contenuti